Benvenutə al sedicesimo numero di Interstizi,
una newsletter occasionale che nasce dal bisogno di mettersi insieme, di condividere riflessioni e pensieri fuori da uno spazio predefinito. Una piattaforma informale di confronto e di ricerca su arte, cultura pop e attualità che speriamo possa aprirsi nel tempo a tanti punti di vista e modalità espressive diverse. Uno spazio fisico e mentale per germogliare, condividere quello che ci sta a cuore, raccontare e raccontarsi, trovare la propria voce ma anche lanciarsi in qualche sano rant.
In questo numero ci lanciamo in una critica all’ideale della vita eccitante, vi presentiamo l’artista Silvia Mantellini Faieta e concludiamo con un sacco di ciliegie di qualità.
Ma soprattutto: Buon terzo compleanno a noi! 🎂
Buona lettura! 🌿
Fabiola & Giulia
Prima di iniziare vorremmo condividere con voi una lista di fonti che stiamo utilizzando in questi giorni per cercare di navigare tra le notizie e approfodire il conflitto israelo-palestinese, le sue radici e le responsabilità storiche che hanno portato alla situazione attuale: qui - qui - qui - qui - qui e ancora qui (se cercate un buon reporting dei fatti in italiano).
Panorama
Persone normali
Negli ultimi mesi la mia pagina explore di Instagram si è riempita di video, nella maggior parte dei casi importati da TikTok, di persone che mostrano le proprie routine quotidiane prima di andare al lavoro, oppure subito dopo. “Quello che faccio tra le 6.00 e le 9.00” o, viceversa, “tra le 18.00 e le 23.00”, oppure ancora “La routine mattutina di una ragazza con un normalissimo lavoro da ufficio”.
I video sono accompagnati dalla canzone trend del momento (cosa che permette di datarne molto precisamente la realizzazione) e mostrano azioni perlopiù ripetitive, come andare in palestra, lavarsi i denti, scegliere i vestiti per la giornata o indossare il pigiama, mettere in ordine la propria casa, andare al supermercato e via dicendo. Il messaggio che li accomuna è l’idea che sia più che lecito mostrare una vita normale sui social e anzi romanticizzare la propria quotidianità, traendo piacere dalle piccole cose.
Da un po’ di tempo stavo notando questo trend quando mi è capitato di leggere sul Guardian un articolo della giornalista Sarah Menavis, molto critico nei confronti di questo fenomeno, da lei ribattezzato le ‘beige-fluencers’, ovvero influencers che celebrano una ‘vita beige e priva di qualsiasi sorpresa'.
Il mio primo istinto è stato di accostare questo trend con il culmine del famous for being famous, l’essere famosз senza alcun talento o azione che giustifichino la propria fama, che noi millennials colleghiamo subito a celebrità come Paris Hilton e Kim Kardashian. La fama di questi personaggi pubblici è stata però creata e alimentata da scandali di diverso genere (feste nei club con copiosi alcolici e droghe, patenti ritirate per guida in stato di ebbrezza e video a sfondo sessuale girati senza consenso-ah, la misoginia dei primi 2000) e dalla loro rappresentazione sui tabloid e nei reality tv.
Le beige-fluencers, invece, sono famosз perché con i loro video riescono a diventare virali per uno stile di vita radicalmente diverso: non bevono e non fanno festa (per quanto ne sappiamo), e non hanno una vita aspirazionale perché straordinaria. Anzi, l’accettazione dell'ordinario è il cardine della loro immagine e fama; come scrive Menavis, prendono le cose buone della propria vita e cercano di vederle in maniera ancora più positiva.
Questa affermazione all’apparenza non controversa viene messa in discussione da Menavis che nell’articolo si lancia in un’appassionata critica del sentirsi soddisfattз di quello che si ha, perché nel mondo delle ‘beige-fluencers’, non si può trovare nessun consiglio su come vivere una vita eccitante e piena, arricchita da momenti di sorpresa, novità e fascinazione. E, più avanti, taccia di puritanesimo la generazione Z che, statisticamente, fa meno sesso e consuma meno alcol e droghe delle generazioni precedenti, scrivendo che vivere una vita noiosa e a basso rischio è più semplice che andare nel mondo e cercare di vivere una vita eccitante.
Tralasciando per ora il fatto che il 99% delle influencers, anche quelle non-beige, si occupa principalmente di mostrare il proprio stile di vita con lo scopo di indurre nuovi bisogni che portino il proprio pubblico ad acquistare prodotti sponsorizzati e non di dare consigli su come ‘vivere una vita eccitante’, che cosa sia poi questa vita, nell’articolo non viene definito (è sempre più facile criticare che costruire). Così ho deciso di provare a riempire questo vuoto partendo dalle suggestioni lasciate da Menavis e arricchendole con quelle provenienti dal contesto culturale in cui sono (siamo) cresciutз.
Questa tipologia di vita eccitante sembra dover contenere diversi elementi, che per me si possono riassumere in una figura come quella di Kate Moss: una natura indomita e sprezzante di ogni regola socialmente accettata, una propensione per il consumo di droghe/alcolici e per il far festa, un talento innato che la renda una figura geniale e di spicco nel proprio campo, un nutrito conto in banca, l’appartenenza all’elite economica e culturale, una spregiudicatezza nelle relazioni, coolness e/o intelligenza, stile personale e, a corollario del tutto, una rappresentazione di straordinarietà comprovata dai media.
Questo tipo di eccezionalità mi sembra un concetto espresso con un certo grado di positività tossica, ovvero come un valore intrinseco, al di là delle difficoltà affrontate dal singolo per raggiungerla e delle probabilità di riuscita. Oltretutto, chi ci assicura che anche dopo aver raggiunto un tale grado di straordinarietà ci sentiremo soddisfattз?
L’idea che l’unica vita degna di essere vissuta sia una vita quanto più lontana da una borghese normalità è tutt’altro che nuova. In questi giorni stavo rileggendo il classico Madame Bovary e il personaggio di Emma, la protagonista del romanzo, è particolarmente illuminante in questo senso. (*ci saranno spoilers*)
Emma cresce in collegio con il mito dell’amore romantico nel senso ottocentesco della parola, di sentimenti talmente forti e puri da sconvolgere e portare ad un’estasi tanto continua quanto impossibile, a cui si mescola una fascinazione irresistibile per il lusso e lo stile di vita dell’aristocrazia urbana.
Dopo il matrimonio con il noioso e solido Charles Bovary, medico di famiglia piccolo-borghese, Emma si trova a fare i conti con il suo amore tanto abitudinario quanto incondizionato e con una vita monotona e solitaria. Come scrive Flaubert, tutto ciò che le era prossimo in maniera immediata, la campagna noiosa, i piccoli borghesi imbecilli, la banalità della vita, le sembrava un’eccezione, un caso anormale in cui lei si trovava presa mentre, al di là di ciò, si stendeva a perdita d’occhio lo sterminato paese dalla felicità e della passioni.
L’idea di rileggere Madame Bovary mi è venuta a partire dal saggio Drug Fugue di Maggie Nelson, una meditazione sui diversi significati di dipendenza e le complesse modalità in cui l’idea di libertà si intreccia con l’uso di sostanze stupefacenti. Analizzando il modo in cui l’uso di droghe è rappresentato nella letteratura, Nelson cita Crack Wars, un saggio di Avital Ronell in cui, nonostante il titolo, uno dei focus principali è proprio la figura di Emma Bovary: le dipendenze caratteriali su cui è costruito il personaggio vengono accostate da Ronell a meccanismi di dipendenza provocati dalle droghe. Emma è imprigionata in una tensione costante tra il suo desiderio per una vita di lussi e libertà e l’incapacità di accettare la realtà della sua condizione. L’angoscia esistenziale e la profondissima insoddisfazione che ne derivano finiscono per precipitarla in un vortice di dipendenze come shopping e sesso, e la portano infine al suicidio.
La prima volta che ho letto questo romanzo ero adolescente, me ne era rimasto un ricordo molto vago ma, in un’età in cui emozioni e sentimenti sono spesso agli estremi e in cui la mia idea della vita vera ottenibile da un adulto era ben lontana dal realismo, avevo empatizzato con la figura di Emma, che mi aveva catturata. Chi non farebbe qualunque cosa per una vita piena di lussi e avventure, lontano dalla mediocrità?
Avevo prestato pochissima attenzione alla figura di Charles, l’uomo capace di trovare il proprio posto nel mondo, accettando appieno tutto quello che la vita gli offre e trovando la propria felicità nelle piccole cose del quotidiano. Charles è un personaggio a cui Flaubert ci dà molto meno accesso, ma ci sono diversi momenti che ne fanno intuire una complessità di base, una non-stupidità ancora più apprezzabile. Di fronte alla figura eroica e tormentata di Emma, Charles resta sicuramente secondario. Mi sono però ritrovata a chiedermi, ma se fosse lui il più forte ed eroico tra i due? È sicuramente molto più difficile sentirsi davvero contenti di quello che si ha, molto più semplice sprofondare nell’insoddisfazione.
Perché ‘accontentarsi’ di quello che si ha è visto di default come negativo e non come una sana stabilità che permette di costruire rapporti e progetti? Perché non possiamo vivere una vita tranquilla e a ‘basso rischio’ (per citare da Menavis) se questo ci rende felici? Perché dobbiamo continuare ad avere paura della normalità e della mediocrità quando il 99% di noi è realisticamente destinato a vivere questo tipo di vita?
La nostra educazione sentimentale non sono stati i romanzi romantici come per Emma Bovary, ma il sogno neoliberista che sia sbagliato accontentarsi perché si può sempre avere di meglio e questo meglio significa fondamentalmente soldi e carriera. Quando siamo cresciuti noi millennials questo era ancora rappresentato da una carriera tradizionale in azienda, percorso nella realtà ben poco eccitante, in quanto solitamente caratterizzato da 50 ore di lavoro settimanale (e poche cose sono meno eccitanti che stare incollat3 davanti ad un computer per tutto il giorno).
Inoltre questo sogno, modulato su quello americano e sul culto della meritocrazia, porta ad ignorare tutta una serie di fattori come l’incalcolabile influenza che il privilegio economico derivante dal ceto sociale in cui nasciamo e dai contatti della nostra famiglia avranno sulle nostre capacità di successo nella vita.
Lo ammetto, dopo aver letto l’articolo del Guardian, sono andata a cercare maggiori informazioni sull’autrice e non mi sono affatto stupita che sia una millennial. Come generazione abbiamo ereditato un’aspirazione verso uno stile di vita straordinario da genitori che hanno vissuto chi il ‘68 e la summer of love, chi le subculture e la crescita economica degli anni ‘80 e ‘90, sommata all’idea che se anche noi avessimo studiato e lavorato sodo, avremmo potuto raggiungere qualsiasi splendore ci fossimo prefissati. Sì, purtroppo siamo una generazione molto cringe che ancora si lecca questa ferita originaria, e ben venga l’opposizione della Gen Z, anche se i nuovi meccanismi che si stanno innestando sono comunque profondamente problematici.
Il sogno neoliberista è sì esploso, ma a dismisura, proprio con i social media e le nuove figure di influencers e creators che riescono a diventare imprenditorз di sé stessз, non solo liberandosi dal giogo del lavoro tradizionale ma guadagnando cifre esorbitanti in relativamente poco tempo. Un modello di straordinarietà ancora più irraggiungibile del precedente, di cui peraltro anche Menavis parla nell’articolo. L’esempio principale di beige-fluencer che riporta è quello di Molly Mae, quasi 8 milioni di followers su instagram, che ha fatto del beige il proprio simbolo, rispecchiato nel suo abbigliamento monocromatico, nell’arredamento minimalista della casa e nelle attività monotone a cui si dedica. Quello che però non ci viene raccontato è precisamente il fatto che Mae sia tutt’altro che una persona ordinaria: dopo aver partecipato al reality più popolare della TV inglese, Mae è diventata una delle influencers più pagate del Regno Unito ed è stata per un periodo direttrice creativa del marchio di fast fashion estrema Pretty little things, con cui continua a collaborare. La sua presenza sui social media ha in realtà ben poco in comune con quella dei piccoli creators che cercano di romanticizzare la propria normalità, perché Mae, nonostante il suo stile di vita all’apparenza morigerato e la sua predilezione per i colori neutrali, è un personaggio pubblico che ha trovato un modo di capitalizzare ulteriormente sulla sua immagine facendo l’influencer. Non il tipo di persona da cui cercare ispirazione per una vita eccitante, ma qualcuno che rientra perfettamente nel sogno neoliberista di ‘farcela’.
Un fattore più interessante da analizzare è il passaggio dal culto dell’unicità e della straordinarietà ad ogni costo ad un nuovo livello di omogeneità, altrettanto tossico e pretestuoso. L’invasione di questa tipologia di contenuti virtualmente identici che invitano a romanticizzare il quotidiano è direttamente collegato al funzionamento dell’algoritmo di Tik Tok che privilegia la viralità, le cosiddette Tik Tok frenzies: un nuovo trend inizia ad avere successo sulla app e tuttз si precipitano a replicarlo come una copia carbone, fino alla stessa musica e agli stessi identici prodotti ed estetiche proposte, indipendentemente dalle effettive predilizioni del singolo. Guardando questi video mi viene spesso da chiedermi, quante di queste persone seguono davvero questa routine ogni giorno e non passano invece la serata a scrollare proprio TT in cerca del prossimo trend da replicare, sperando di essere lз prossimз che ‘ce la fanno’?
Non si tratta di un fenomeno completamente nuovo, perché in fin dei conti anche le riviste di moda e siti di blog come Tumblr si basano sull’idea di creare nuovi trend e il bisogno di farne parte. Ma il successo e la scala di Tik Tok sono unici in questo senso: ci sono studi scientifici e programmi di terapia che analizzano e curano nello specifico la dipendenza dall’algoritmo su cui si fonda la piattaforma. È possibile che, arrivati a questo punto, una vita eccitante sia semplicemente una vita vissuta nella realtà e indipendente da una rappresentazione che ne validi l’importanza?
Nonostante tutto, la critica al mantra della vita eccitante e al presupposto che non-straordinarietà significhi noia rimane per me comunque valida. In parte perché l’incapacità di sentirsi soddisfattз di quello che abbiamo e la smania di cercare appagamento sempre nel prossimo obiettivo o nel prossimo progetto finisce matematicamente per condannare all’infelicità. In parte perché la celebrazione di una vita vissuta al limite si collega a retaggi culturali che non condivido. Nel suo saggio, Maggie Nelson fa un elenco di scrittori celebrati proprio per questo stile di vita, notando come le attrattive di un comportamento trasgressivo nei confronti di ogni convenzione etica e sociale e un appetito per il caos siano molto più semplici da sopportare e celebrare sulla pagina o sul palcoscenico, oppure quando riguardano estraneз, che nella vita vera di ciascuno di noi:
I nomi della lista stilata da Nelson sono di figure che possiamo collocare nella categoria ottocentesca di ‘genio’, di cui il mondo dell’arte e della letteratura sembrano fare tutt’oggi un’immane fatica a liberarsi.
Consolidatasi nell’Ottocento, con gli scritti di filosofi come Schiller e portata avanti da storici dell’arte come Ernst Gombrich, in breve è l’idea che solamente una figura superiore ai normali umani sia capace di creare la ‘vera Arte’. Nella pratica questa idea ha coinciso con un canone storico-artistico incentrato su artisti (e scrittori) uomini, bianchi ed europei, spesso figure tormentate che, come riporta Nelson, facevano uso di droghe; in ogni caso autorizzati non solo a slegarsi da ogni obbligo comportamentale riconosciuto dalla società, ma anche a trattare con atteggiamenti tossici e violenti le persone a loro vicine per il ‘bene dell’arte’. I danni del culto della straordinarietà ci pongono ora di fronte al complesso dilemma sulla legittimità di separare l’arte dalla persona (che qui ci porterebbe davvero troppo fuori strada, quindi per il momento lo lasciamo stare).
Il lavoro della fotografa americana Nan Goldin è per me un buon esempio di arte che non nasconde la difficoltà delle cose difficili, come direbbe Nelson. All’inizio della sua carriera Goldin opera nell’ambiente della mitologica New York degli anni Settanta, fotografando amicз e conoscentз della scena queer e post punk. Le immagini di Goldin raccontano di vite eccitanti con realismo e onestà, senza nascondere le difficoltà e la violenza che le pervade, il costo durissimo delle dipendenze e la strage e lo stigma provocati dall’AIDS a partire dagli anni Ottanta.
Una vita straordinaria non è priva di effetti collaterali e la vaghezza e romanticizzazione che pervadono quest’idea sono difficili da dissipare, perché profondamente individuali. In un certo senso, entrambi gli estremi corrono il rischio di nascondere la difficoltà che fa inevitabilmente parte dell’esperienza umana, sia da una lato il retaggio del genio ottocentesco mescolato alle rappresentazioni dei tabloid dei primi duemila, che dall’altro le beige-fluencers che fanno skincare e guardano netflix dopo una giornata passata in ufficio. Mi viene da pensare che nessuna vita sia più straordinaria di un’altra perché nessuna vita è immune dall’umanità, ovvero dall’esperienza di gioie, paure, sofferenze, avventure, disgrazie e sorprese che rendono la vita degna di essere vissuta.
A fuoco
Silvia Mantellini Faieta
Lo scorso maggio come parte del collettivo curatoriale goo abbiamo organizzato ‘Video Poems’, mostra personale dell’artista Silvia Mantellini Faieta. Vogliamo utilizzare questo spazio per presentarvi Silvia ed invitarvi ad esplorare il suo lavoro. Potete seguire Silvia qui e qui
* menzione speciale per il suo ultimo progetto ‘Small Fish, Dog Fish’ che continua a ricevere importanti (e più che dovuti) riconoscimenti e a girare per il mondo, congratsssss 💖
Siamo qui, ora.
Una distesa di nuvole abbaglianti scorre veloce sotto il cielo azzurro, mentre l’aereo procede spedito verso la sua destinazione.
“Hey, can you hear me?”, riesci a sentirmi? Sono qui, sto respirando, e sono in cerca di salvezza.
Il frammento di un momento ordinario, pochi minuti di video, diventa fulcro di una riflessione molto più ampia, per Silvia Mantellini Faieta: un invito a vivere nel presente, ad accogliere la propria sensibilità senza sentirsi giudicati dagli altri e da se stesse e quindi ad esprimersi liberamente.
Video Poems (2022) è una serie di video creata spontaneamente da Mantellini Faieta. Ossessionata dal presente, l’artista filma frequentemente luoghi e momenti, che diventano appunti visivi ed emozionali che possiamo ritrovare all’interno di diverse opere. Riguardando le immagini filmate, luoghi e suoni si mescolano alle sensazioni provate dall’artista mentre filmava in una razionalizzazione a posteriori: così sono nati piccoli poemi ricchi di riflessioni sul nostro modo di approcciarci al presente, l’unica dimensione in cui possiamo effettivamente evolverci e realizzarci.
Se i Video Poems funzionano come riflessioni a margine della pratica artistica di Mantellini Faieta, i provini fotografici in mostra sono ulteriori appunti, post-it visivi. Le fotografie sono scattate negli stessi luoghi in cui l’artista ha filmato e sono da lei utilizzate con uno scopo puramente progettuale; rappresentano lo storyboard, lo scheletro concettuale che permette di strutturare qualsiasi lavoro artistico e che normalmente rimane nascosto al pubblico. Inserite all’interno del contesto espositivo, queste immagini ci restituiscono il processo creativo dell’artista, il modo in cui si relaziona con i diversi materiali, senza però imporre nessun tipo di lettura dei luoghi e dei pensieri che questi portano con sé.
I sette video che fanno parte di Video Poems hanno un ordine preciso e seguono una narrazione cara all’artista e alla sua ossessione per il presente e la sua potenza.
Save Me, il primo video con cui abbiamo aperto il testo, è girato su un aereo in fase di atterraggio. La veloce discesa attraverso il grigio delle nuvole evoca nell’artista una sensazione di paura, collegata all’impossibilità di essere ascoltate e comprese e al bisogno di essere salvate.
In Who is talking sentiamo delle voci senza capire bene da dove arrivino ma che somigliano al rumore dei nostri pensieri, delle nostre voci interiori che ci troviamo a seguire, mentre Where am I? richiama la sensazione di perdersi tra la folla, come in uno stormo di uccelli; snaturarsi per cercare di vivere come vivono tutti gli altri, perdendo la propria identità e i propri desideri.
La bandierina rossa che sventola in Kilograms sembra voler evocare in noi una sensazione d'immobilismo, ricordandoci il rischio di rimanere fermi o ignari davanti al pericolo.
In Hurting you is hurting me, il video più breve dei sette, la piscina di un albergo costruita in riva al mare è stata distrutta dalla violenza delle onde, lasciando l’artista indecisa su chi identificarsi e su chi sia la vittima, e chi viceversa il carnefice: l’uomo, il cui edificio è stato distrutto dalla natura, oppure la costa, devastata dal cemento.
Abades è anch’esso un luogo abbandonato, con una profonda storia di violenza: prima un lebbrosario costruito dal dittatore spagnolo Francisco Franco per isolare le persone affette dalla malattia; poi una base militare negli anni Settanta. Gli spazi, che comprendono una scuola, una chiesa e un ospedale, versano oggi in stato di abbandono e sono utilizzati a volte per organizzare rave. La desolazione del luogo, in cui però rimangono le tracce delle violenze del passato, ha fatto riflettere Mantellini Faieta sul modo in cui si possa parlare di questa violenza e, allo stesso tempo, sul senso del vuoto, in un costante conflitto tra accettazione e vani tentativi di riempire il niente.
Never coming back down, conclude il percorso evolutivo dei Video Poems con un rinnovato invito a vivere nel presente e a guardare al presente come unico momento di possibilità, evoluzione e cambiamento. I panni stesi sul filo spinato sembrano all’artista persone bloccate nella fissità del passato, incapaci di liberarsi dai condizionamenti di queste esperienze e di abbracciare il cambiamento come forza vitale e inevitabile.
L’inno al presente di Mantellini Faieta risuona in spazi vuoti, sterminati e abbandonati, dove l’unica presenza umana sembra essere quella dell’artista che regge il cellulare con cui sta filmando e di cui percepiamo ulteriormente la presenza in diversi momenti: in Save me, il sedile dell’aereo su cui siede è inquadrato per una frazione di secondo, mentre in Kilograms alcune ciocche dei suoi capelli volano di fronte all’obiettivo. Persino le voci che sentiamo, quella dello steward che annuncia l’atterraggio o le voci fuori campo di Who’s talking, non evocano tanto presenze umane quanto voci interiori oppure sonorità lontane ed effimere.
La dimensione della solitudine è celebrata da Mantellini Faieta come momento di introspezione in cui ritrovare quello che di noi perdiamo nel rapporto con gli altri, imprescindibile per conoscere se stessi.
In quest’ottica i Video Poems si pongono come lavoro particolarmente interessante funzionando come spartiacque tra opere relazionali e nuova ricerca nel percorso dell’artista, che unisce momenti di silenziosa solitudine con intima condivisione.
L’aereo sta atterrando.
“I am here”, ci ricorda l’artista.
Siamo qui, ora.
Ciliegie
i nostri pick culturali
🍒 Podcast 🍒
In una recente puntata di Globo, un podcast gratuito del Post che ogni settimana invita unǝ espertǝ diversǝ a dialogare di attualità internazionale, si parla di Corea del Sud, dalla cultura al soft power fino all’armistizio mai firmato con la Corea del Nord.
🍒 Letture 🍒
Un romanzo: Manuale di caccia e pesca per ragazze di Melissa Bank (ed. Accento), un’educazione sentimentale contemporanea, ironica e piacevolissima.
Bonus che ci piace <3: La camera buisssima. Viaggio alle origini della fotografia tra storie, invenzioni ed esperimenti, di Elisa Lauzana e Irene Lazzarin (ed. Quinto Quarto), per bambinǝ curiosǝ di tutte le età!
Un saggio: Exit reality, il nuovo saggio della storia dell’arte e curatrice Valentina Tanni. Un’abilità rara di raccontare le estetiche di internet senza sofismi né morbosità, ma con una attenzione e comprensione profonda dei processi sociali e culturali che attraversano i mondi che si moltiplicano ed intersecano nella rete e nella vita di tutti i giorni. Avevamo amato follemente la sua prima opera Memestetica. Il settembre eterno dell’arte (2020) e con questo nuovo testo si è riconfermata un punto di riferimento cruciale nell’ambito delle culture digitali.
Un articolo: La quarta ondata del femminismo sta finendo? Jennifer Guerra si interroga sulle recenti evoluzioni del movimento e sul perché dovremmo guardare con favore al superamento del femminismo pop + che posto strano LinkedIn
Misc: Inchiesta importantissima sul fenomeno di abusi e molestie nel mondo delle agenzie pubblicitarie, un articolo che amplifica il lavoro iniziato questa estate e portato ancora oggi avanti dal collettivo Re:B
🍒 Musica 🍒
Verso la fine di settembre ci siamo trovate a ballare la musica di Christian Löffler sotto il cielo di Roma. Una grande sensazione di benessere e vibrazioni felici, qui un assaggio 🌱 A proposito di good vibes, il nuovo album di Jorja Smith <3
🍒 Film 🍒
La nostra Vic per questo numero è impegnata a farvi piangere la domenica mattina con il Triste Film Festival 🥲🥲🥲🥲🥲
Le proiezioni si terranno al Cinema Odeon di Bologna.
Sempre per chi è a Bologna, segnaliamo Archivio Aperto, festival promosso da Home Movies - Archivio Nazionale del Film di Famiglia di Bologna, dal 25 al 30 ottobre. La XVI edizione, intitolata The Future is Memory, prevede 19 film in concorso, con sei giornate di proiezioni ed eventi. Il festival è dedicato alla riscoperta del patrimonio cinematografico privato e sperimentale e all’esplorazione del cinema d’archivio, italiano e internazionale.
Qui per il calendario completo e tutte le info!
🍒 L’Internet 🍒
La storia che ha commosso il web. Il nuovo nuovo nuovo realismo?
Una nuova interessante internet analysis di @tiffanyferg su amicizia e soldi. E un deep dive in uno dei fenomeni iconici di YouTube (almeno per noi) ovvero le influencer cristiane Girl Defined.
Un posto pieno di meme molto belli contro il lavoro. Che ne potrebbe pensare l’AI?
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Noi siamo arrivate alla fine di questo sedicesimo numero di Interstizi.
Grazie per essere arrivatə fin qui, per averci letto, per averci dedicato del tempo.
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Interstizi è un progetto a cura di Fabiola Fiocco e Giulia Pistone.
Bellissimo pezzo in apertura. Baci