Benvenutə al nono numero di Interstizi,
una newsletter occasionale che nasce dal bisogno di mettersi insieme, di condividere riflessioni e pensieri fuori da uno spazio predefinito. Una piattaforma informale di confronto e di ricerca su arte, cultura pop e attualità che speriamo possa aprirsi nel tempo a tanti punti di vista e modalità espressive diverse. Uno spazio fisico e mentale per germogliare, condividere quello che ci sta a cuore, raccontare e raccontarsi, trovare la propria voce ma anche lanciarsi in qualche sano rant.
In questo numero si piange, ma non solo! Vi parliamo di nostalgia e della difficoltà (o, meglio, impossibilità) di immaginare il futuro, ma anche di immagini che ci vogliamo portare nel 2022, come una sorta di buoni propositi collettivi. Inoltre, vi raccontiamo di un’artista che ci piace tanto, ovvero Rossella Biscotti, attraverso una selezione di lavori che ragionano sulla costruzione della storia e della memoria collettiva. Vi salutiamo, come sempre, come i nostri consigli di tante cose da leggere, ascoltare e guardare sull’Internet per scacciare i january blues.
Buona lettura! 🌿
Fabiola & Giulia
Panorama
Stasera serata nostalgia
Mi ritrovo molto spesso ad usare la funzione ‘cerca’ di Whatsapp. Disseminate nelle mie chat ci sono indirizzi email, dettagli di login e altre parole che devo spesso ritrovare. Appaiono così (insieme, se sono fortunata, a quello che è il frammento che sto cercando), conversazioni dimenticate, vecchie di anni.
Poche cose mi trasportano indietro nel tempo come queste chat. Sono dettagli minimi, insignificanti, che mi permettono però di mappare con estrema precisione tutto quello che ho fatto organizzato visitato sentito provato quotidianamente per anni. Ci diamo appuntamento qui o lì, decidiamo cosa fare, confessiamo emozioni, tristezze e rabbie, in un flusso di trivialità mescolata ad elementi più profondi che sembra ormai diventata una cifra delle nostre vite. Foto in bikini e paesaggi e massacri e meme e alluvioni e screenshot di tweet e manifestazioni e tiktok con balletti e racconti di violenze e traumi -- tutto questo fa parte del nostro flusso quotidiano su internet.
Decido di cercare la parola ‘nostalgia’ tra le chat
Compare una lunga lista di conversazioni, dal 2014 fino a mercoledì scorso.
Però niente adesso sono entrata in un mood nostalgia e affetto ed è male
Cos’è che ti ha fatto venire la nostalgia al di là della sensazione di soddisfazione/chiarezza provata?
Primi segni di nostalgia da Venezia
Passerà mai la nostalgia enorme per Venezia?
Oddio che nostalgia mi sta prendendo a ripensare a tutti i posti di londra
Stasera serata nostalgia
Ad attrarmi della nostalgia è il fatto che non è un’emozione complicata. La cerco attivamente, decidendo di ascoltare determinate canzoni, di andare in alcuni posti, di tornare a ricordi ben precisi. In realtà si basa proprio sulla semplificazione: ci permette di tralasciare i dettagli del passato, di provare una sorta di struggimento controllato, ci dà il senso che le cose stanno fluendo come dovrebbero. Da persona che ha una grande paura del rimpianto, provare nostalgia mi rende felice perché, in fondo, vuol dire che ho vissuto al massimo un momento, che posso mitizzare il mio passato e dirmi che ce la sto facendo, che sto vivendo la vita che voglio, altrimenti non sentirei questa triste soddisfazione.
La pandemia mi ha precipitata in lunghi mesi di nostalgia totale, intervallati da mesi in cui dovevo fare tutto e subito prima di trovarmi di nuovo imprigionata nell’impossibilità di vivere a pieno. Nella mia testa si è creato un corto circuito, una smania ansiosa, una pulsione a fare, ad accumulare esperienze, e una nostalgia quasi istantanea, una nostalgia accorciata, praticamente di qualsiasi cosa. Questa tendenza, che già caratterizza profondamente la nostra generazione e la nostra epoca, è stata esacerbata fino a diventare una presenza quotidiana. Interi account sui vari social sono dedicati esclusivamente alla nostalgia di epoche passate, dagli anni Sessanta ai Duemila, offrendo immagini e video di un mondo sempre migliore di adesso, più cool, più vero, più nuovo e più speciale, dal quale prendere ispirazione. Il vintage è in espansione - e non soltanto per motivi collegati alla sostenibilità ambientale: l’oggetto unico e autentico, il frammento isolato dal contesto del passato ci permette di ricreare alla perfezione la vibe a cui aspiriamo.
Nell’introduzione alla raccolta Ghosts of My Life (2014), Mark Fisher esamina approfonditamente la nostalgia e il ciclico ritorno del passato, per lui evidente nella maggior parte dei prodotti culturali degli ultimi decenni. Un esempio di pop culture portato da Fisher è la musica di artist* come Adele e gli Arctic Monkeys: nessuno dei due è identificato o promosso come retro, eppure ascoltando i loro brani non c’è niente che li caratterizzi come decisamente appartenenti al 21esimo secolo.
Nel saggio Retromania (2010), Simon Reynolds rintracciava le motivazioni dell’apparente appiattimento della musica pop nella sovrabbondanza di stimoli e prodotti musicali, facilmente reperibili e circolabili attraverso internet. Questo stato di consumo perenne, per Reynolds, produce un’implosione delle tradizionali categorie temporali di passato, presente e futuro che convergono in un ‘lungo presente’ in cui è impossibile creare cose nuove ed originali. Prima di Reynolds, Fredric Jameson nella sua raccolta di scritti sul postmodernismo si era interrogato sul ‘nostalgia mode’, collegando questo sentimento al rifiuto delle innovazioni tecnologiche contemporanee e un attaccamento alle tradizioni e formule del passato.
La rivisitazione di prodotti e paradigmi visivi passati diviene uno strumento per mantenere un’unità nel momento in cui perdiamo un senso coerente del tempo storico con la fine del secolo. Questa visione funzionale della nostalgia come scudo verso un tempo sempre più incerto e minaccioso ci riporta all’analisi di Fisher. Nel descrivere questi prodotti musicali (come, in fondo, il nostro presente tutto), Fisher si discosta nettamente dall’analisi di Reynolds, evidenziando come questa sia caratterizzata da “la sensazione vaga e persistente del passato, senza però richiamare uno specifico momento storico”. L’analisi della musica di Amy Winehouse o di una serie TV come Life on Mars, e che potremmo estendere con ancora più chiarezza a prodotti più recenti come Sex Education o Stranger Things, in cui i personaggi galleggiano in uno spazio temporale indefinito tra gli anni Ottanta ed il presente, diventano per Fisher uno specchio attraverso cui sviluppare un’analisi esaustiva ed infelice sul nostro tempo, soffermandosi non tanto sulla persistenza del presente quanto sulla sparizione del futuro. Dal momento in cui la distinzione tra passato e presente diventa sempre più labile, il progresso culturale diviene dunque per Fisher sempre meno significativo, poiché la cultura perde l’abilità di cogliere e parlare del presente. In relazione a questo meccanismo di non-presenza, l’autore introduce il concetto di ‘hauntology’, individuato dal filosofo Jacques Derrida nello scritto Spettri di Marx. Il ‘perseguitare’ (nel modo in cui farebbe un fantasma) vuole rimandare ad un tipo di presenza che si basa, in realtà, su una o più assenze. La traccia, la mancanza che finisce per dare consistenza e raison d’etre a qualcos’altro. Per Fisher, l’hautologia è un tipo diverso di nostalgia: se quest’ultima rimpiange un tempo passato che rivorrebbe indietro, la prima è invece collegata al futuro. È come se sapessimo già che un certo tipo di futuro che desideriamo non potrà mai accadere, gli spettri del passato e del presente ci perseguitano a tal punto da diventare i fantasmi dei futuri impossibili, ed è questo a provocare un tipo diverso di nostalgia - una moltitudine di assenze così pervasive da far nascere anche nuove definizioni e categorie di nostalgia.
Questo senso di spaesamento e ritorno al passato è legato al processo culturale e politico avvenuto tra gli anni Settanta ed Ottanta che il filosofo Franco Bifo Berardi ha efficacemente definito come la lenta cancellazione del futuro. In After The Future, Bifo scrive in riferimento all’idea di tempo e progresso modernista:
La mia generazione è cresciuta al culmine di questa temporalizzazione mitologica, ed è molto difficile, forse impossibile, liberarsene e guardare la realtà senza questo tipo di lente temporale. Non potrò mai vivere in accordo con la nuova realtà, per quanto evidenti, inconfondibili, o anche abbaglianti, le sue tendenze sociali planetarie.
Pur appartenendo a due generazioni diverse, ed essendo cresciute nel solco del neoliberismo, non possiamo che riconoscerci in questa descrizione, nella conflittualità con il mito del boom economico e l’idea di poter essere tutto ciò che vogliamo. Alla luce della cancellazione del futuro, essere anacronistici diverrebbe dunque una scelta estetica volta a permettere al tempo di fermarsi mentre la vita continua in un loop visivo-temporale. Differentemente dall’analisi di Reynolds, che si sofferma sul processo di produzione e consumo dei prodotti musicali, l’analisi di Fisher evidenzia la componente psicologica, di cui l’arte è espressione o effetto collaterale. Impossibilitati a rappresentare un presente sempre più effimero e inconsistente, l’eterno ritorno di stilemi, costumi, melodie ma anche tematiche ci riporta continuamente al punto di partenza, creando nuovi oggetti che contengono in sé il ricordo rassicurante di ciò che non abbiamo vissuto e non potremo più vivere, ma che performiamo nell’aderire a determinate mode o narrazioni.
Tornando al concetto di haunting, la ‘persecuzione’ può essere interpretata come un ‘lutto mancato’ nella misura in cui ciò che viene ricordato o replicato è qualcosa che non si conosce davvero. Privatз della possibilità del futuro che ci è stato raccontato, e in una qualche misura promesso dai nostri genitori e dalla società capitalista, ci culliamo nel loro passato e nell’illusione che questo ha nutrito e riprodotto. Ma se ciò che abbiamo perso è il futuro inteso come progresso, un’alternativa a questa ossessiva riattualizzazione di un passato mitico è l’analisi critica di questo stesso passato per cercare di individuare gli errori, le origini della crisi. Non arrendersi a questo eterno ritorno per tornare invece su quei momenti in cui il sistema si è rivelato in tutta la sua violenza e per creare una nuova storia da contrapporre a quella che ci è stata venduta.
Quando abbiamo deciso di parlare di nostalgia, con una naturalezza e torpore da imputare necessariamente a quella leggera presa a male che coincide con le festività natalizie, ero già prontissima ad imbastire un discorso mega-articolato per giustificare i miei pomeriggi persi a riguardare le foto della mia adolescenza mentre ascolto emo punk, individuando cause e spiegazioni che legavano questa pratica malsana a fenomeni esterni. Alla fine ho deciso di non prendere questa strada, limitandomi ad incolpare la luna (scelta sempre efficace). Non posso negare di riconoscermi perfettamente nella descrizione di Fisher e di tantз autorз e teoricз che hanno analizzato il fenomeno. Vivo nella paura paralizzante del futuro, che pur essendo stato cancellato resta lì, come un monito e una minaccia. Il mio rapporto con la nostalgia e con il tempo è espresso perfettamente dal mio armadio. Un insieme di capi basic, dai colori un po’ noiosi, scelti nella consapevolezza dell’età adulta e di ciò che questa dovrebbe comportare, intervallati da piccoli sprazzi di colore, stampe e glitter comprate in un momento di crisi (o di liberazione forse). Se mi soffermo a riflettere sulla nostalgia, mi sembra che questa coincida con il non riuscire a mettere a fuoco il mio posto nel tempo, la mia età. Quello che dovrei essere, le aspettative che avevo dieci anni fa, quello che sono e le opportunità che posso realisticamente pensare di avere. Vista da questa prospettiva, il mio ritorno e il mio amore per l’adolescenza risponde perfettamente alla ricerca di un porto rassicurante ma soprattutto al bisogno di creare piccole interruzioni nel programma rigido che sento (con sempre meno convinzione) di dover seguire. Nel passato recente e nel suo rapporto disincantato con la storia e con il tempo non trovo un racconto mitico o narrazioni edificanti, ma la libertà di essere manchevole, caotica e confusa. Un ultimo momento di imbarazzo e onestà intellettuale prima di entrare nel mondo vero™. Paradossalmente, questa fase della vita che in quanto nata-vecchia mi è sempre stata stretta, mi sembra a volte l’unico posto in cui ritrovare della verità ed imparare a gestire il futuro.
A questa complessa nostalgia per l’adolescenza come epoca mitica, un’adolescenza che nessunǝ di noi ha probabilmente davvero vissuto, si lega il lavoro La Boum (2021) dell’artista Agnese Spolverini. Un morbido cuscino accoglie lo spettatore, un paio di cuffie invita ad ascoltare, addentrandosi in solitudine in una sorta di silent party, un karaoke malinconico in cui l’artista canta l’iconica canzone Reality tratta dall’ancora più iconica scena del film Il tempo delle mele (titolo originale: La Boum, per l’appunto). Proprio come nel film, l’azione di mettersi le cuffie (in questo caso, anche se le mani sono le nostre, è Agnese a sorprenderci) ci trasporta in un luogo diverso, al di fuori della nostra epoca e quotidianità, un mondo che non ci appartiene ma che risulta consolatorio. Nel lavoro una serie di riferimenti si accavallano e ci investono, confondendo piani temporali, emozioni ed estetica. Proviamo, allo stesso tempo, una nostalgia quasi ingiustificata: il film è uscito nel 1980, un tempo ben lontano dall’adolescenza della nostra generazione, un’epoca che non dovrebbe appartenerci in nessun modo, eppure riesce a insinuarsi nel nostro immaginario come una sorta di passato mitico. A questa nostalgia si intreccia però anche lo spettro di un futuro, quello immaginato negli Anni Ottanta per questi scintillanti adolescenti, che avrebbe potuto essere anche nostro ma non lo sarà mai. Altri piani si incastrano, ad esempio il momento di pandemia e isolamento sociale in cui ci siamo trovatз (e niente indica che sia finita qui) e che ha direttamente ispirato Agnese nella creazione di La Boum: un momento in cui non si può stare in mezzo alle altre persone, in una situazione di festa, e in cui la spensieratezza residua è del tutto evaporata, quello che rimane è una festa trista e solitaria, un senso di rimpianto che finisce per inghiottire presente, passato e futuro.
Parlando dell’adolescenza e del suo pathos, una diversa lettura dell’eterno ritorno del passato nell’arte e nella cultura viene sviluppata da Catherine Grant nella sua analisi del revival del femminismo. Prendendo in considerazione il lavoro di artiste di diverse generazioni e del loro rapporto affettivo e stilistico con l’estetica del femminismo della seconda ondata, Grant sviluppa la teoria del fandom come strategia di appropriazione di temi, identità e stilemi che verrebbe attuata non attraverso la distanza e l’ironia, ma motivato da profondo attaccamento e desiderio. Pur concentrandoci sull’ambito artistico, questa categoria può essere applicata anche fuori dal campo dell’arte nella misura in cui lз fan sviluppano una relazione attiva con l'oggetto di interesse talmente intensa e ossessiva da plasmare tale oggetto alla luce dei suoi stessi bisogni. Il contraltare dell’amore sarebbero dunque frustrazione o antagonismo, che si sviluppano nel momento in cui l'oggetto del desiderio si allontana dalla fantasia: “Piuttosto che una semplice rievocazione, o ricerca scientifica in un momento storico, la figura del fan fa emergere gli aspetti irrazionali, appassionati e violenti del desiderio di abbracciare il femminismo.”
Grant si concentra sul femminismo per osservare come il suo coinvolgimento con il fandom articola un particolare tipo di relazione con questo fenomeno storico-politico che unisce il bisogno di rimettere in scena un determinato momento storico con il lutto per la perdita. Nonostante l’intensità di questo rapporto, ciò che viene attivato è un movimento che, prosperando nella fantasia e nella performance, non mette davvero in pratica i valori e l’eredità del passato e non ne attualizza strumenti, obiettivi e potenzialità. Il concetto di fandom sviluppato da Grant resta tuttavia interessante poiché mette in luce il bisogno delle origini come caratteristica generazionale. Se non possiamo più immaginare il futuro, possiamo cercare di reinterpretare il passato ed immaginare un percorso alternativo, che possa modificare la storia e darci nuovi strumenti per costruire ciò che avverrà. Se è vero che all’interno del turbocapitalismo tutto è messo a valore, tutto viene piegato in funzione della riproduzione del sistema, anche l’antagonismo, il recupero degli anni Sessanta e Settanta, decenni densi di energia, violenza e passione politica, possono essere interpretati da una parte come il bisogno di inserire nella nostra realtà, passiva e nichilista, l’illusione dell’interruzione e della conflittualità; dall’altra, questo può essere interpretato come una nuova consapevolezza politica che si pone come punto di partenza e riorganizzazione di forze ed idee.
Ritornando indietro al lavoro di Fisher, per cercare di chiudere questo cerchio di malinconia, Fisher non ha una visione totalmente negativa della nostalgia e della ‘hauntologia’, ma anzi interpreta l’impossibilità di lasciar andare gli spettri come una forma di resistenza: “Per tutto il XX secolo la cultura musicale è stata un'indagine che ha giocato un ruolo importante nel preparare la popolazione a godere di un futuro che non fosse più bianco, maschile o eterosessuale, un futuro in cui la rinuncia a identità che erano comunque misere finzioni sarebbe stata un sollievo benedetto.“ Recuperare il passato e le possibilità in esso contenute potrebbe permetterci di recuperare tracce di possibilità, di altri mondi, di alternative. Che cosa faremo con questi spettri resta tutto ancora da definire: li useremo per ricominciare a costruire un futuro libero dall’ansia della ‘novità a tutti i costi’? Oppure rinnegheremo tutto, rinascendo in modo diverso dopo un grande rogo liberatorio? In questa apertura e indefinitezza ci sembra di trovare un po’ di conforto.
Fotoromanzo
Buoni propositi per farcela insieme
Nel dicembre 2021 ci ha lasciato bell hooks, scrittrice, attivista e femminista statunitense. Un punto di riferimento teorico e politico per tant* che è riuscita attraverso i suoi scritti a parlare a tuttз, mettendo in discussione e superando l’elitarismo accademico. La grande tristezza e sconforto per la morte di hooks ha prodotto un momento di grande unione e amore, ispirato e motivato dalle sue stesse parole. Come nota Jennifer Schuessler nell’articolo che potete trovare tra le 🍒 di questo numero “il ricordo è stato più intenso dei soliti tributi agli studiosi defunti, un’ammirazione che riflette il modo straordinario in cui hooks è riuscita a mescolare l'emotivo con l'intellettuale nella sua ricerca per rendere le esperienze delle donne nere non solo visibili, ma centrali per una rivisitazione radicale di società.” Seguendo gli insegnamenti di bell hooks e di tantз femministз, per questo 2022 allora ci auguriamo di portare questa unione e questa sorellanza, questo spirito di vicinanza, condivisione e transnazionalità in ogni strada, luogo, e interstizio.
Restando in tema di vicinanza, una foto dalle incursioni notturne deз compagnз di @nonunadimeno_vene per un 2022 pieno di corpi (politici), di alleanze di corpi, di contatto, di prossimità, di piacere e desiderio.
Complice il perdurare della pandemia e l’aumento della precarietà economica e psicologica, l’anno appena concluso ha visto una considerevole crescita dello spirito anti-lavorista. Su ValigiaBlu, la sociologa Francesca Coin analizza come dentro e fuori da internet si stia sviluppando una nuova cultura del lavoro che mette in discussione la retorica neoliberista fondata sulla performatività e la meritocrazia, mettendo in luce la violenza e le diseguaglianze strutturali che regolano l’economia capitalista. Una rinnovata consapevolezza e spirito di organizzazione che speriamo continui a crescere in questo 2022. In foto, uno screenshot della bacheca r/antiwork di Reddit.
Via Twitter
L’Internet 💖
Foto della rimozione della statua di Robert E. Lee, generale confederato e simbolo della guerra civile statuitense in Virginia. In questo infinito loop sulla cancel culture, noi ci auguriamo di cominciare a riconoscere le responsabilià, storiche o meno. Di cominciare a fare i discorsi difficili ma necessari sul nostro passato, presente e futuro. Metterci in discussione e imparare ad ascoltare. Cambiare punto di vista e cambiare il panorama quando necessario.
Concludiamo con questo monito e invito ad allenarsi a resistere parte del progetto Macao x CHEAP + Santarcangelo Festival 🔥 Foto di @michele_lapini_photo
Profilo
Rossella Biscotti
Caratterizzata da un approccio interdisciplinare e multimediale, che comprende video, foto, installazioni, performance e realizzazioni plastiche, la ricerca di Rossella Biscotti trova spesso il suo punto di partenza in episodi traumatici della storia e della politica nazionale. La metodologia di Biscotti si fonda su tre elementi principali, che contribuiscono a definirne e caratterizzarne il linguaggio artistico. Un’accurata indagine sul campo e la raccolta di documenti, testimonianze e interviste; un’attenzione alla materialità e alla forma; una cura particolare per l’allestimento e lo spazio. L’elemento visivo può essere costituito sia da foto che da video, mentre il testo viene estrapolato direttamente dai materiali di archivio ed esposto per mezzo di tecniche diverse come la videoproiezione, l’incisione o la pittura.
La cinematografia è l’arma più forte è una delle prime opere di Biscotti e prende ispirazione dallo slogan utilizzato da Mussolini in occasione dell’inaugurazione di Cinecittà nel 1937. Venne realizzata per la prima volta nel 2004, presso gli spazi della Fondazione Adriano Olivetti di Roma. Per questa prima versione l’artista eseguì un wall painting bianco e nero sul muro dello spazio espositivo che riproduceva la scritta e ne richiamava l’estetica fascista. Nel 2007 l’opera fu riproposta nuovamente con un diverso allestimento in occasione del festival A Film Cycle. In questa circostanza, un fotogramma con la scritta “La cinematografia è l’arma più forte” – nel medesimo stile e colore – veniva proiettato prima dell’inizio di ognuno dei film in programma. Questa tensione tra immagine e testo permane nel lavoro di Biscotti, nonostante venga meno la rappresentazione del ‘corpo mistico’ del dittatore. Privato della componente grafica, il linguaggio diventa il materiale primario attraverso cui evocare l’immaginario fascista e mettere in risalto la componente storico-ideologica del linguaggio stesso. Inoltre, l’assenza dell’immagine viene compensata dalla presenza dell’opera che si impone materialmente all’interno dello spazio chiuso della galleria e del cinema.
Questa strategia espositiva rimanda al concetto di présence teorizzato da Louis Marin e ripreso da Luca Acquarelli (2015) nell’analisi del processo di estetizzazione della politica fascista. Così come il sovrano impone il suo potere attraverso la sua immagine, così Biscotti evoca la forza ed il potere propagandistico del mezzo cinematografico nel regime fascista con la sola presenza incombente e ineluttabile delle parole di Mussolini. Negli anni Settanta, la riscoperta del fascismo da parte della storiografia italiana e internazionale si concentra proprio sugli strumenti e i contenuti prodotti dal regime in funzione del consenso. Il cinema come mezzo di organizzazione e di diffusione della propaganda acquista un ruolo fondamentale per l’analisi e la comprensione delle strutture economico-politiche e delle componenti socio-culturali dell’Italia fascista. All’interno di un più ampio progetto di 'estetizzazione della vita politica’, come definito da Walter Benjamin (1936), il cinema rappresenta il simbolo della modernità tecnica e culturale del regime.
In La cinematografia è l’arma più forte la riflessione sul cinema non si limita al regime fascista. Come evidenziato nella scheda dell’opera, questa venne originariamente concepita dall’artista nello stesso anno in cui fu approvata in Italia la legge Gasparri - “Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI - Radiotelevisione italiana S.p.A” - evidenziando una continuità nel potere e nell’incidenza dei media sulla gestione del discorso pubblico. L’opera rappresenta il punto di partenza di una ricognizione sulla storia e la memoria collettiva italiana, che trova una sua evoluzione significativa nel lavoro Il Processo (2010-2012). Il soggetto centrale del lavoro è il processo, storicamente e politicamente significativo, in cui furono imputati membri di Autonomia Operaia e Potere Operaio e che si svolse nell’Aula Bunker del Foro Italico di Roma tra il 7 aprile 1983 e il 1984. L’installazione è composta da una serie di nove calchi in cemento di specifiche parti dell’aula bunker e da una traccia audio di circa otto ore che riproduce le registrazioni originali del processo (per un totale di duecento ore) trasmesse al tempo da Radio Radicale. In altri riallestimenti dell’opera, le trascrizioni del processo sono state lette e tradotte simultaneamente da performer posizionati all’interno dell’ambiente scultoreo. Inoltre, in occasione dell’esposizione del lavoro nello spazio Performa di New York (2013), l’artista decise di creare un gruppo di lettura, in collaborazione con altrз attivistз e ricercatorз, dedicato ai lasciti storici dell’Autonomia in relazione ai movimenti e le lotte sociali recenti, come il movimento Occupy. Come evidenziato da Viviana Gravano, la voce ha una materialità e una funzione centrale nell’opera:
Si sentono i tentennamenti, le paure malcelate, le indignazioni, la rabbia, la stanchezza. Quelle voci sono corpi, acquisiscono una corporeità che è data da due fattori: da un lato la loro presenza non più come atti processuali ma come persone, che hanno attraversato fisicamente un tempo essenziale della nostra storia, che sono state un corpo pubblico; dall’altra la necessità di sentire una voce narrante “originale”, così da poter cogliere la realtà di una parte della nostra storia che è stata cancellata con tanta attenzione da aver tolto realtà fisica ai “personaggi” che la fecero.
Nella creazione di un ambiente apparentemente asettico e freddo ma permeato dalle voci e dagli spettri della storia, Il Processo ripercorre una fase politico-sociale ancora irrisolta e spesso taciuta, senza esprimere necessariamente il posizionamento ideologico dell’artista, ma evidenziando l’esigenza di ritornare su tali fatti e sul loro impatto politico e culturale. Attraverso questa serie di lavori Biscotti analizza l’estetica e l’immaginario del potere ri-posizionandolo nella contemporaneità, senza filtri o contestualizzazioni che ne possano mediare il messaggio. Il documento di archivio viene presentato come materiale neutrale, che nell’incontro con il fruitore libera il proprio potenziale simbolico. Attraverso l’esposizione il materiale si apre all’interpretazione, producendo nuovi significati e costituendosi come ‘sintagma e paradigma di quello che resta.’
La cinematografia è l’arma più forte si pone all’inizio del percorso artistico di Biscotti. L’opera non è un video, ma ragiona sullo strumento del video e viene realizzata poco prima di Vuurgevecht op de Dam (2005) e Il sole splende a Kiev (2006). In entrambi i casi il video rappresenta il nucleo centrale del lavoro e viene utilizzato per raccontare un evento storico e affrontare il tema della relazione tra la storia e la soggettività e relatività della sua rappresentazione. La natura documentaristica del materiale e l’incidenza collettiva dell’evento storico si scontrano con la natura soggettiva del ricordo e dell’interpretazione individuale.
Pur essendo storicamente orientate, le opere di Biscotti dimostrano, secondo T. J. Demos (2012), un ‘interesse post-minimalista’ per la materialità delle fonti, che mette in risalto l’ambiguità e plasticità del linguaggio. Inserendo gli oggetti all’interno dello spazio espositivo, senza nasconderne il carattere oscuro e contraddittorio, il suo lavoro si pone in un rapporto di dialogo e costruzione con il passato. I riferimenti sono immediatamente riconoscibili perché fanno parte di una storia e un retroterra culturale comune, che contribuisce alla definizione di un’identità nazionale. Un ulteriore livello di significato dipende dalla cultura personale di chi guarda e che si attiva sulla base del riconoscimento diretto delle fonti esposte. Le scelte di allestimento contribuiscono a creare una relazione fisica tra il fruitore e l’oggetto ma anche tra la propria storia individuale e quella collettiva.
In Everything is somehow related to everything else, yet the whole is terrifyingly unstable (2008), l’artista conserva questa tensione tra lo stato emotivo individuale e il trauma collettivo affrontando un percorso in cui confronta e condivide la sua esperienza personale e contingente con i racconti e la memoria degli abitanti del luogo. Ciascuno di questi lavori incarna un modo di riflettere e rappresentare l’ambiguità della storia e della percezione individuale. Ognunǝ è invitato a confrontarsi riguardo momenti traumatici della storia nazionale che non sono ancora stati collettivamente elaborati.
Ciliegie
i nostri pick culturali
🍒 Podcast 🍒
Cemento Podcast ~ nomen omen
🍒 Letture 🍒
Un romanzo: No one is talking about this di Patricia Lockwood, Penguin Random House (che speriamo di vedere prestissimo in traduzione italiana), che procede tra frammenti e metafore sorprendenti per raccontare una storia di famiglia, amore e difficoltà.
Un classico: La montagna incantata di Thomas Mann, Corbaccio, un libro sicuramente impegnativo (quasi 700 pagine, di cui una buona parte dedicate a lunghe digressioni su arte, cultura, musica, medicina… ma siamo autorizzatз a saltarne qualcuna no??), che intreccia romanzo di formazione, auto-reclusione in sanatorio e mondo del primo Novecento.
Un saggio: Un femminismo decoloniale di Françoise Vergès, una lettura efficace e necessaria per mettere a fuoco la realtà in cui viviamo, l’orizzonte della lotta femminista e contrastare il femminismo liberale dell’Instagram
Un articolo: Un ricordo di bell hooks dal New York Times ; un articolo necessario di Judith Butler per capire la funzione politica dello spauracchio del gender e ricordarci di non abbassare mai la guardia; abbracciamo l’economia dell’abbastanza tra i propositi dell’anno nuovo?
Misc: Il secondo numero di Istmo Allucinazioni Collettive ~ impossibile sceglierne solo uno ma anche Italiani veri: storia del pop italiano in Russia dagli anni Sessanta a Ciao 2021 su Est/ranei
🍒 Musica 🍒
Un inverno di musica brillante e vellutata. Il 5 novembre è uscito Mystic Motel, il primo album di Laila Al Habash, artista italo-palestinese di 22 anni che ci fa volare e rimpiagere ancora di più la nostra adolescenza. Parlando di nostalgia, il 2022 è stato invece inaugurato dal nuovo album di The Wombats Fix Yourself, Not the World, noi forse aggiusteremmo entrambi cari Wombats, ma per ora vogliamo ricordarvi come la colonna sonora di tante serate lagunari. Infine, vi condividiamo il profilo SoundCloud di KAYTRANADA per le vostre mattine super smooth.
🍒 Film 🍒
In questo numero abbiamo una nuova ospite speciale che curerà le ciliegie cinematografiche, benvenuta Victoria Chuminok <3
13 Going On 30 di Gary Winick. Jenna Rink è una 13enne che sogna di diventare grande, quando il suo desiderio si avvera è una 13enne nel corpo di una 30enne. In questa scena Thriller di Michael Jackson fa l’effetto che fa Toxic di Britney Spears ai nati negli anni ‘90 e salva la carriera della protagonista. PS. Quest’anno Toxic compie 19 anni, Feel old yet? (un giorno sono certa che Toxic salverà anche la mia di carriera).
Nostalghia di A. Tarkovskij. Tutta la filmografia di Tarkovskij è disseminata di individui che lottano con la realtà e si rifugiano in ricordi. Il protagonista è Gorchakov, poeta oppresso dai ricordi e dipendente dal passato. Tutto il film è girato nella campagna senese in posti visitabili tutt’oggi ed è di produzione italo-sovietica proprio come me ;) Un piccolo estratto per alimentare i january blues.
🍒 L’Internet 🍒
52 things I learned in 2021 by Tom Whitwell from Fluxx | Fluxx Studio Notes
The phony health craze that inspired hypnotism, video in inglese di Vox che ci racconta la storia di Franz Anton Mesmer, una figura particolare che nel XVIII portò la passione per l’ipnosi in Europa
Dystopian Real Estate Content | Internet Analysis, mentre la speculazione edilizia incontro il magico mondo degli NFT nel Metaverso, @tiffanyferg ci racconta il rapporto tra influencer, content e gentrificazione
@iconografiexxi, progetto editoriale e di ricerca sulle ‘culture, estetiche ed eccentricità del presente’ da seguire nonchè tra i profili più interessanti su IG
Sbroccare male contro il capitale e dopo le vibes
Starter pack per lз natз del 1991, ‘92 e ‘93 che stanno affrontando il loro ritorno di Saturno in Aquario ~ stiamo unitз <3
Tilda Swinton e delle biblioteche ovvero perchè Twitter è un posto magico
E per finire una coppia di micetti pop-punk per restare in tema e cose che AMIAMO ❤️🔥
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Noi siamo arrivate alla fine di questo nono numero di Interstizi.
Grazie per essere arrivatə fin qui, per averci letto, per averci dedicato del tempo.
Interstizi è in fase di sperimentazione permanente quindi se avete suggerimenti, feedback o volete semplicemente condividere con noi cosa vi passa per la testa potete rispondere a questa mail, seguirci su Instagram o scriverci a interstizinewsletter@gmail.com - se invece sei qui per sbaglio ma vuoi saperne di più puoi iscriverti qui
Interstizi è un progetto a cura di Fabiola Fiocco e Giulia Pistone.