Benvenutə al tredicesimo numero di Interstizi,
una newsletter occasionale che nasce dal bisogno di mettersi insieme, di condividere riflessioni e pensieri fuori da uno spazio predefinito. Una piattaforma informale di confronto e di ricerca su arte, cultura pop e attualità che speriamo possa aprirsi nel tempo a tanti punti di vista e modalità espressive diverse. Uno spazio fisico e mentale per germogliare, condividere quello che ci sta a cuore, raccontare e raccontarsi, trovare la propria voce ma anche lanciarsi in qualche sano rant.
In questo numero vi presentiamo l’artista austriaca Lena Violetta Leitner attraverso uno scambio di pensieri e immagini che abbiamo avuto con lei negli ultimi mesi e ci mettiamo a nudo con una storia emotiva delle nostre piante. Alla fine, come sempre, trovate le nostre ciliegie, selezionate e raccolte per voi.
Buona lettura! 🌿
Fabiola & Giulia
Nice to meet you
Torna la rubrica in cui vi presentiamo unǝ artista in forma dialogica e un po' disorganizzata, proprio come piace a noi. Per questo numero abbiamo chiacchierato con Lena Violetta Leitner, artista austriaca che, come da sua bio, inventa, interviene e coopera.
Una conversazione che ci porterà ad un incontro, presto.
Lena Violetta (LV):
Ciao da me e dalle mie piante 🥳🍃
Giulia (G):
Ciao Violetta e Fabi!
Ho appena visto questo cucciolo di scorpione in ufficio, vi saluta
Fabiola (F):
*Scenario diverso ma stesso lavoro da scrivania. Buongiorno! Spero abbiate riposato bene. Stavo pensando che potremmo cominciare questa conversazione posizionandoci. Dove siamo? Cosa stiamo facendo in questi giorni/settimane? Cosa ci ronza in testa? Ecc.
LV:
Mi sembra ottimo! Sono molto contenta di iniziare questa conversazione 😁 Al momento sono a Vienna, sto preparando la prossima mostra, che sarà nella mia città natale, Graz, sempre in Austria. Quest'anno per me è stato fantastico, pieno di opportunità, ma mi ha anche portata sull’orlo all'esaurimento. Ne sto parlando con altrз colleghз e quello che ho provato è molto legato anche al tema della giusta retribuzione.
F:
Capisco. Nell’ultimo numero di Interstizi abbiamo pubblicato un articolo sulla cura e stavamo proprio parlando di quante reazioni positive abbiamo avuto daз lettorз. Sono argomenti così urgenti, burnout, stanchezza, sfinimento e non è facile parlarne in un modo che non ti lasci ancora più svuotatə a volte.
Io sono ad Edimburgo e sono qui dalla fine di settembre. È stato un bel periodo nonostante le scadenze, ma ho lavorato ad un capitolo della mia tesi dottorale di cui sono piuttosto orgogliosa ✨
*Oggi sono andata ad una fiera di libri e ho comprato questo. È una collezione di saggi che riflette sulla crisi attraverso la metafora del corpo (o almeno così mi sembra di aver capito) ~ vi farò sapere com’è
G:
Sembra fantastico!
Mi localizzo anch'io, sono a Bologna dove vivo da 3 anni e mezzo (sta per raggiungere Londra come luogo in cui ho vissuto più a lungo nella mia vita adulta). Qui lavoro in uno spazio non profit e scuola di fotografia e quello che mi piace di questa città è quanto mi faccia sentire accudita. Ho la mia comunità di amicз e persone su cui posso contare e con cui è molto facile uscire, ho il mio orto, le colline sono molto vicine alla città e gli edifici del centro hanno colori caldi e tenui e un assetto medievale leggermente caotico ma invitante, inoltre ci sono sempre molti eventi culturali in corso ~ Mi sento davvero a casa qui
LV:
Mi piace come descrivi la città, mi fa venire voglia di visitarla!
F:
per restare in tema cura, pensi che questa faccia parte della tua pratica/lavoro e, se sì, come l’affronti in questi contesti?
LV:
Sì, è qualcosa a cui ho pensato molto durante l'ultimo anno, ma non mi sembra di saperne ancora abbastanza - sto giusto aspettando che mi arrivi un libro 😁
*Nel collettivo di cui faccio parte, DTAFA, stiamo pensando alla cura in relazione alle altre specie, ma anche in relazione ai nostri corpi e al nostro “lavoro”. Ecofemminismo ed Ecosessualità sono argomenti che mi interessano molto.
https://dtafa.com/activities/ qui trovate il nostro ultimo progetto in Serbia, su una spiaggia lungo il Danubio a Novi Sad. Per questo luogo, abbiamo proposto di diventare isole, utilizzando i nostri corpi e rendendoli terreno fertile per il Corriere piccolo, un uccello migratore che nidifica a terra e che rischia di perdere il suo habitat. Non solo il fiume è altamente regolamentato, ma viene usato anche per attività ricreative che distruggono le zone in cui questa specie si riproduce.
[NdT: Violetta fa parte del collettivo DTAFA, o Danube Transformation Agency for Agency, un’organizzazione femminista che raccoglie artistз, scienziatз e designer che lavorano per assicurare un futuro vivibile sulle sponde del Danubio e creare ecosistemi sostenibili.]
G:
trovo questo progetto molto bello e delicato, mi piace l’idea di cura come intreccio di specie, di pensare al nostro rapporto con la natura in modi nuovi, fantasiosi e che si allontanano da ciò che siamo statə condizionatə a pensare - abbiamo accennato brevemente a queste tematiche anche nel numero sulla cura di Intestizi.
La domanda di Fabiola mi ha anche fatto pensare a un passaggio del libro On Freedom di Maggie Nelson che ho letto ieri - non ce l'ho con me adesso perché non sono a casa, ma fondamentalmente quello che Nelson sostiene è che la pratica artistica è sempre intrisa di cura, anche quando l'opera d’arte di per sé non sembra collegata a quest’idea, perché fare arte è - per definizione - prendersi cura. Fare arte è qui inteso come un interesse così profondo verso un determinato tema per cui l’artista passerebbe ore a pensare, ricercare e realizzare la sua opera, per poi rischiare tutto presentandola al pubblico. Cosa ne pensate? È effettivamente così o è una semplificazione? Sono molto indecisa!
F:
Questa è difficile! In un certo senso capisco l'argomentazione di Nelson. Mi vengono in mente vari esempi di opere d'arte impegnate, piene di cura e che potrebbero supportare quest’affermazione, anche quando non sono state pensate con questa funzione specifica. Ma d'altra parte, la storia dell'arte è piena di esempi di artistз e opere d'arte egoriferite, realizzate dall’artista con finalità prettamente individualistiche. Il genio è una delle figure meno premurose che mi vengono in mente
G:
Verissimo! Immagino che si possa "prendersi cura" dei propri interessi o della propria pratica artistica senza preoccuparsi di altrз, o preoccupandosi solo di alcunз. Un genio potrebbe prendersi cura della propria arte, o del proprio gatto per ciò che sappiamo, senza fregarsene deз proprз amicз ahahahah
VL:
Sono d'accordo. Sono ugualmente indecisa, Giulia 😅 Ma la mia domanda è: tuttз lз artistз portano con sé un tratto narcisistico? 🤓
Nel frattempo mi piacerebbe conoscervi meglio. A cosa state lavorando in questo momento? E quale parte del vostro lavoro oppure di un progetto è la vostra preferita? Potreste scrivermi la frase di cui andate più fiere?
G:
*Ciao Violetta e Fabi! Ho riflettuto su questa domanda, non ho necessariamente uno specifico progetto di ricerca a lungo termine, in questo momento sto lavorando a progetti futuri con Fabiola e altre amiche, come mostre e altri progetti culturali, e sto anche iniziando a lavorare ad un prossimo numero di interstizi dove vorrei a grandi linee affrontare argomenti come riproduzione e maternità. In ogni progetto amo la sensazione di avere una nuova idea, di trovare nuove strade e intuizioni. Nel mio lavoro attuale, in cui effettivamente mi trovo a dover mettere insieme più progetti in contemporanea, ciò di cui sono più orgogliosa sono i rapporti che ho con le persone -- questo potrebbe forse essere l’aspetto che davvero preferisco. Non riesco ad individuare una singola frase al momento, ma continuerò a pensarci e vedrò se mi viene in mente qualcosa
LV:
Grazie, Giulia 🙃 è bello conoscerti di più! Anche a me piacciono molto i progetti collaborativi (nonostante possano essere molto impegnativi, ma in fin dei conti questo è un vantaggio 😁). Nel collettivo di cui faccio parte, DTAFA, diciamo spesso che essere un collettivo in realtà è già un lavoro (artistico)* 😁
*[a(n) (art)"work"]
F:
Ciao ✨ sono in treno, diretta a Londra per qualche giorno ~ mi sono presa un po’ di tempo per pensarci
Come ho scritto nei messaggi precedenti, al momento sono immersa nel processo di scrittura della tesi di dottorato e in generale odio l’aspetto solitario di questo lavoro, preferisco collaborare a progetti, avere l'opportunità di scambiare idee e condividere spazi e tempi, ma sto lentamente iniziando ad apprezzare il ritmo della scrittura e la riflessione che ne scaturisce. È molto strano.
Non so bene quale frase potrei scegliere, sono molto orgogliosa di diverse cose che ho (co-)scritto ma devo dire che è anche difficile risalire a ciò che è veramente mio alla fine. Sento che le parole e le frasi girano, ti rimangono in testa, si mescolano e rimescolano e quando escono è difficile rivendicarne la proprietà
G:
Buongiorno da me e dalle mie piante, è una mattina fredda e uggiosa a Bologna e credo anche che la qualità dell'aria sia pessima. L'inverno si sta rivelando duro per me e sto anche riflettendo molto su come essere troppo buona a volte possa portarmi ad a essere, o a sentirmi, sfruttata 🌪🌪 Come state entrambe? Come stanno andando il trasloco e la mostra per te Violetta?
LV:
Che belle le tue piante 🍃💜 Anch'io voglio allestire il mio laboratorio sperimentale nello studio, ma fa troppo freddo per le piante (e per me), purtroppo c’è un sistema di riscaldamento non eccezionale.
Anche a me non piace il freddo, Giulia, e forse avrei anch'io bisogno di essere più cattiva a volte - purtroppo a "noi" è stato "insegnato" a essere "gentili e sorridere".
Non ho ancora buone foto dello studio, vi aggiornerò. Nel frattempo ho appeso alcune foto di ispirazione su un muro dello studio, sono della scorsa estate, quando ero in residenza in Serbia. Ho lavorato in un ex edificio militare, occupato una volta da erbacce e ora da artisti. Qui ho collaborato con altre due artiste e abbiamo costruito un dialogo sulle erbacce, portandole all’interno dell’edificio insieme ad altri elementi. Di tanto in tanto con loro ci scambiamo ancora parole, opere d'arte e immagini 💜
Questa è stata l'installazione che abbiamo esposto successivamente a Vienna, weeds&words con Lindsey Nicholson e Milica Dukić.
Questa foto invece è dell'edificio in Serbia di cui vi parlavo, dove Lindsey ed io abbiamo lavorato con le erbacce. È stato un progetto di per sé contenuto, ma da qui sono nate tutta una serie di conversazioni sulle erbacce e sulla politica per me molto importanti, che hanno preso forma anche nella chat con Milica che abbiamo poi esposto in mostra attraverso telefoni cellulari che escono dalla terra.
G:
Adoro! Mi fa venire in mente alcune tematiche da cui siamo partite quando abbiamo sviluppato l'intero concetto alla base di Interstizi. Anche il nome lo abbiamo scelto pensando proprio alle erbacce e al modo in cui crescono, senza pretese ma allo stesso tempo fortissime, tra crepe e fessure di pietra e cemento.
Mi piacerebbe saperne di più di queste conversazioni e pensieri sulle erbacce!
LV:
Che meraviglia!!!! 😍🍃
Stasera vado all'inaugurazione della mostra, ma dopo condividerò qualcosa in più e sono anche curiosa di sapere che cosa ne pensate voi. È davvero tutto così a tema, perché il nostro progetto era una chat alla fine, ed eccoci qui a chattare :) è una parte che mi piace davvero tanto di quest’”opera”.
Non sono sicura le virgolette siano appropriate, le uso perché non tuttз la vedono come un'opera (artistica), anche se io sì 😅
[...]
LV:
Piccolo aggiornamento-traduzione per voi 😁🌱
Sul muro abbiamo stampato questa frase (più o meno):
“Forse gli intrecci delle nostre conversazioni sono come erbacce, ride Milica.”
Sui cellulari abbiamo mostrato la live chat in corso tra noi tre artiste nelle nostre tre lingue madri. Questo era l’incipit: “...questa non è la documentazione di una performance creata in Serbia. Questa è una conversazione che sta crescendo come un'erbaccia, tra Austria e Serbia.”
F:
Forse gli intrecci delle nostre conversazioni sono come erbacce, che frase potente
Guardando tutte queste persone, che come me in questo momento si trovano all’aeroporto, e l'infinita fila per il controllo dei passaporti, i controlli di sicurezza e altro ancora, non ho potuto fare a meno di pensare al tuo lavoro su piante e migrazioni, mi piacerebbe sapere di più su come è nato questo interesse.
E se le nostre conversazioni sono davvero erbacce, speriamo che possano diventare anche radici perché a volte è difficile sentirsi con i piedi per terra
LV:
Ciao voi due 🌱, scusate se sono un po' lenta ma prima di andare in vacanza (quali sono i vostri piani?), volevo rispondervi, iniziando con una citazione: "Cosa può significare, 150 anni dopo Darwin, dire che alcune specie o comunità sono buone e altre sono cattive?" - Fred Pearce, The New Wild: perché le specie invasive saranno la salvezza della natura
Sto cercando di scrivere un po' sul mio interesse (alcuni dicono ossessione 😋) per le piante - o meglio le cosiddette "piante aliene invasive" (e, in questo momento particolare, il poligono del Giappone). Non posso condividere tutto in una volta, perché l'argomento è molto complesso e la biologia, la lingua, la storia, la politica... sono intrecciate, ma forse ne possiamo discutere un po' più a fondo in questa chat. Potete trovare intanto più informazioni sull’idea, la scienza, l'arte e la storia in questo progetto che il nostro collettivo DTAFA ha realizzato nel 2020:
https://mayiintroduce-alien.com/
Per il mio lavoro finale all'università ho fatto ricerca e sperimentazioni per circa due anni. Ero già interessata a temi quali identità, lingua, migrazione e nel 2015 circa, con l’inizio della crisi migratoria in Siria, ne sono stata ancora più toccata, come tantз. Però in quel momento non mi sembrava giusto rivolgermi direttamente o addirittura lavorare con le persone.
Non ho assolutamente idea di come sia successo - forse per via del mio interesse in generale per le piante come computer organici - ma in qualche modo mi sono imbattuta nella terminologia "piante aliene invasive" e ben presto sono stata affascinata dall'incredibile mondo delle piante. Da bambina volevo diventare una biologa e una scrittrice, e sono davvero contenta di poter vivere entrambe queste passioni come artista. Sono rimasta scioccata dal linguaggio violento utilizzato per descrivere queste piante e da come viene spesso usato in modo improprio.
Ci sono altri aspetti che mi interessano, anche se questo è uno dei principali e mi ha portata a creare l'IZMP, * il centro di integrazione per le piante migratrici: www.izmp.eu
Questa è la foto di una zona di Vienna dove trascorro molto tempo, si trova accanto a un garden center (dove sono in vendita piante "esotiche") e, dall’altro lato, una strada dove i lavoratori migranti vanno ogni giorno ad aspettare che qualcuno li assoldi per un lavoro.
Poligono del Giappone
The Language Lab di IZMP, foto di Tina Kult
G:
Vorrei saperne di più sulla tua ossessione per il poligono del Giappone visto che torna spesso nel tuo lavoro, qual è la storia??
Adoro il progetto The Language Lab di IZMP e come in questo tuo lavoro attraversi i confini di diverse discipline, analizzando e mostrando diverse piante e la loro circolazione, il modo in cui le usiamo/traiamo profitto ma allo stesso tempo vogliamo controllarle, e anche i parallelismi con l'immigrazione sono davvero forti. Mi interessa molto anche il modo in cui il tuo lavoro ha a che fare con un’emozione come la paura.
LV:
Grazie per il feedback 🥰 A proposito del poligono del Giappone: è stato il vero inizio del mio viaggio con le piante invasive 🍃💚 Sono affascinata dalla sua storia, da come è arrivato in Europa - è un ottimo esempio di come una pianta molto popolare sia diventata una pianta "problematica". È anche incredibile quanto sia forte e resistente, persino in grado di assorbire metalli pesanti.
Per il nostro progetto online "May I introduce: Alien" mi è stato chiesto di parlare della mia pianta invasiva preferita:
*La mia pianta invasiva aliena preferita è senza dubbio il poligono del Giappone - non perchè io abbia fatto Studi Giapponesi e neppure perchè sia una pianta particolarmente bella o forte ai miei occhi, ma è la prima pianta invasiva che ho incontrato a Graz e me ne sono presa cura nel mio laboratorio - guardando i nodi delle radici crescere e diventare piccole piantine mi sono sentita come se mi stessi prendendo cura di un bambino.
Andrea, un amico e membro del collettivo DTAFA, mi manda un fantastico libro dal Giappone:
https://www.shashasha.co/en/book/moving-plants
È molto interessante che tu abbia sottolineato proprio l'aspetto della paura - fino alla mostra DELPHI 2.0 con la mia opera Fear Fighters non ci ho pensato consapevolmente, ma ora ho iniziato a rifletterci sempre di più.
Vi volevo chiedere se vi andrebbe di condividere entrambe un incontro con una pianta simile a quello che è stato per me conoscere il poligono del Giappone? Oppure un altro ricordo speciale con un essere non-umano?🍃
F:
Devo dire che questa conversazione mi sta davvero spingendo a entrare in contatto con una parte di me che non prendo mai in considerazione. Non ho mai sentito alcuna connessione con il mondo naturale/non umano. Mi sento molto a mio agio nel cemento. Tuttavia, ho deciso quest'anno di fare uno sforzo per connettermi al mondo nella sua forma più naturale ed energetica e devo ammettere che l'Islanda è stata per me un importante punto di svolta. L'ho visitata la prima volta qualche anno fa, solo per pochi giorni, e ci sono tornata lo scorso marzo per poco più di una settimana. Entrambe le volte mi sono sentita benissimo, piena di energia e ipnotizzata dalla forza della natura, dalle rocce, dall'atmosfera magnetica e dal freddo. Ha attinto ad una parte di me che non avevo idea esistesse e mi ha dato sensazioni che mi piacerebbe provare di più. Per sentirsi più umani, più vulnerabili e più liberi 🌋
VL:
Pazzesco! Più vulnerabili e più liberi 💜 Devo ammettere che mi sento libera anche tra il cemento, che è in un certo senso un'altra forma non umana. Abbiamo avuto queste meravigliose conversazioni con il collettivo DTAFA: il nostro progetto si sarebbe concentrato sul Danubio, ma nessuno ci andava davvero così spesso, e ci chiedevamo come e perché si verificasse questa sensazione di distanza. È interessante anche riflettere su come percepiamo la "natura".
G:
Ho molti ricordi speciali con esseri non umani, animali ma anche varie piante - ricordo varie piante da appartamento che i miei genitori avevano quando ero bambina, ricordo anche la sensazione di toccarle. La prima frase intera che ho pronunciato da piccola è stata “il parco è bello”, che dice tutto credo. Mi sono sempre sentita molto a mio agio e in pace nella natura, confortata (anche se a volta la natura può essere terrificante).
Per quanto riguarda la mia pianta invasiva preferita, adoro i fichi d'india, sono tecnicamente alieni/invasivi in Sicilia ma sono diventati parte integrante del paesaggio e si sono infiltrati nella cucina locale in modo molto profondo, mi sento molto legata a loro
LV:
Interessante, devo fare qualche ricerca al riguardo!
* Sono stata fuori casa per un po' di tempo e i poligoni del Giappone che vivevano con me da una mostra precedente si sono seccati. Ma ogni volta è così sorprendente vedere come si svegliano di nuovo non appena ricevono l'acqua. (Questa resilienza è proprio uno dei motivi per cui queste piante hanno una connotazione tanto negativa.)
F:
Che strano, la resilienza sembra essere una delle abilità più ricercate oggi!
[...]
LV:
Ieri abbiamo iniziato il nostro club mensile del libro: è stata una giornata molto bella e abbiamo condiviso pensieri davvero interessanti, discussioni fruttuose. Ho pensato a voi e alla nostra chat, sarebbe stato bello avervi con noi!
Per ora ho letto solo 3 sezioni che fungono da interludi, ma adesso comincerò dall’inizio.
F:
Ti andrebbe di condividere qualcosa che ti ha particolarmente colpita?
LV:
Ci siamo riunitз con menti aperte. Per parlare di funghi, mentre assaggiavamo i deliziosi panini ai funghi di Ege.
Qual è il nostro odore? Corpi olfattivi estesi. L'odore di un fungo matsutake divide le nazioni.
Da profumo repellente ad attrazione.
Il modo in cui apprendiamo come gli odori vengono percepiti nella nostra cultura.
Il modo in cui il linguaggio dell'ecologia si incontra con quello dell'economia.
E a dire il vero molti altri aspetti, ma per il momento preferisco tenere questi pensieri per me, voglio rileggere con calma e tornarci sopra.
Linee...linee di vita... sto riflettendo su quale significato possa avere.
Mi accorgo di non essere in grado di riprodurre la sensazione di sentirmi ispirata che ho provato e le discussioni che abbiamo avuto attorno a questo concetti in questo momento e soprattutto in una chat. A volte mi sento limitata da questo tipo di conversazione.
Ma un fungo matsutake non può mai essere comprato per se stesse. Si può solo ricevere come regalo.
***
Lena Violetta Leitner vive e lavora a Vienna. Fa parte del collettivo OutSight e DTAFA (Danube Transformation Agency for Agency). Nel 2017 si è laureata al programma di arti digitali presso l'Università di arti applicate di Vienna con la fondazione del "Centro di integrazione per le piante migrate" (IZMP). Da allora, è stata affascinata dalle piante e dalla loro dimensione socio-politica, affrontando le connessioni tra scienza (soprattutto biologia), linguaggio e società nel suo lavoro con ironia, umorismo e favola speculativa. Nel realizzare le sue opere predilige il lavoro collettivo. Ha esposto a Venice Biennale Sessions, State of Concept Athens, das weisse haus, Neue Galerie Graz, Ars Electronica, Museum Ulm, Galerie U10 e VBKÖ, tra gli altri. Nel 2022 con DTAFA ha ricevuto due premi “Ö1 – Fixing the Future”. Nel 2022 le è stata assegnata la borsa di studio iniziale per la media art.
https://lenaviolettaleitner.com/en/hi/
Interludio
#plantmom
una breve storia emotiva delle mie piante
Quando sono nata, mio nonno paterno ha piantato un albero di ulivo in un piccolo terreno di sua proprietà dove coltivava l’orto e teneva qualche albero da frutta (soprattutto agrumi) e qualche ulivo per preparare le sue famose ‘alivi cunzati’, le olive schiacciate e condite in una giardiniera.
Ho sempre amato molto quell’albero, da piccola lo guardavo e lo accarezzavo con una sorta di riverenza, senza elaborare bene quello che sentivo, cioè che la mia vita fosse come legata simbolicamente a quella del ‘mio’ ulivo.
Dopo la morte di mio nonno la piccola proprietà è stata venduta e ho perso accesso a quell’albero. Ci ho pensato molto, qualche volta fantasticando di andare a sbirciare dal cancello e dalla recinzione della campagna per cercare di individuarlo, vedere come sta e che cosa ne è stato di lui, ma non l’ho mai fatto.
Mi piace pensare che le piante e gli alberi definiscano momenti, persone, luoghi e relazioni. Gli alberi in particolare hanno una certa fissità, un certo legame con i luoghi tranquillo e costante, che percepisco come molto sereno. Siamo noi a dover viaggiare verso di loro, ad avvicinarci e raggiungerli.
Il mio ulivo rimane fermo proprio dove mio nonno lo ha piantato trent’anni fa, anche se adesso è di proprietà di qualcun altrə e non mi è più accessibile.
Ho altre piante in altri luoghi, altri alberi che però, con ogni probabilità, non conoscerò mai. A Natale mi è stato regalato un altro ulivo, che si trova in Salento e fa parte di un progetto di rimboschimento che prevede la piantumazione di varietà resistenti alla xylella. Allo stesso tempo, in Kenya cresce un albero di macadamia che mi è stato regalato tramite il popolare sito treedom.
Non entrerò nel merito dell’efficacia di grosse iniziative come treedom, che si occupano di rimboschimento o di piantumazione finalizzate a compensare i consumi di CO2, e che spesso si intersecano con il greenwashing, ovvero con il tentativo di aziende o anche di singoli individui di nascondere proprie e policy o atteggiamenti non sostenibili con azioni che solo apparentemente contrastano il cambiamento climatico, oppure lo fanno con scarsi risultati.
Questa è una cronaca emotiva delle mie piante, e per me queste piante contano come reali e realmente mie, anche se forse non le vedrò mai dal vivo. Proprio come l’ulivo, ci penso più spesso del dovuto, mi chiedo come sia il tempo dove sono, che cosa si veda attorno a loro e quale sia la precisa sfumatura di verde e la texture delle loro foglie.
Alcune piante, invece, viaggiano e si spostano con noi. La circolazione delle piante, particolarmente di quelle che si mangiano, è una parte fondamentale della storia dell’umanità, favorita spontaneamente dai venti e dalle migrazioni, oppure forzatamente dalle politiche coloniali dei paesi occidentali. Anche nel mio piccolo ho trasportato delle piante da un luogo all’altro durante i numerosi traslochi che finora hanno fatto parte della mia vita. In questo modo ho disseminato piante in giro, affidandole alle cure di altre persone. Oppure mi sono appropriata di frammenti di piante raccolte per strada, che ho poi fatto radicare in casa. Talee come atti di appropriazione e propagazione.
Tre cactus regalatemi dal mio attuale compagno dopo qualche mese di frequentazione sono a casa dei miei genitori da anni, portate via da Venezia e cresciute fino a diventare irriconoscibili.
Quattro diverse piante grasse prosperano tra il mio balcone e la mia casa dopo essere state raccolte da vasi di cemento a bordo strada o da fessure tra i mattoni di un palazzo abbandonato (una volta, lo confesso, dalla fioriera fuori da un chiesa) e trasportate in bici, macchina e anche aereo fino a casa, avvolte in soffici involucri di fazzolettini.
Ma la mia storia preferita è quella della Schlumbergera che ho comprato un dicembre in un supermercato di Londra: era stata ribattezzata ‘Christmas cactus’ ed era in offerta tra un mucchio di piante mezze moribonde ma, una volta portata a casa, mi ha regalato delle bellissime fioriture per i successivi tre inverni. Quando ho lasciato il Regno Unito ho portato tutte le mie piante a casa di amici fidati e la Schlumbergera in particolare ha continuato a crescere e fiorire. Si trova adesso in Belgio, dove la mia amica si è in seguito trasferita e da dove ogni tanto mi manda qualche aggiornamento.
Se non si fosse capito, sono una “plant person”, una millennial semplice per cui tenere in vita e in salute una serie di piante, tropicali e non, all’interno di casa rientra al contempo tra i tratti interessanti della personalità e le responsabilità (pseudo) genitoriali. Sarà anche la mia luna in toro che mi fa cercare conforto nella natura, nelle piante, nella terra, in questi esseri che hanno radici, colori avvolgenti e texture piacevoli (millennial semplice parte seconda: giustificare propri comportamenti con l’astrologia).
Diversi ricordi molto forti della mia infanzia sono legati a piante ed alberi, oltre che al mio ulivo.
C’era il “Re delle foglie”, una pianta da interni che avevamo in casa quando ero piccola e che amavo moltissimo, con le sue grandi foglie irrorate di luce, dalla grana liscia, spessa e leggermente cerata.
C’era l’albero di carrubo in campagna di mio zio, con il suo tronco leggermente curvo su cui era facile arrampicarsi e raggiungere il tetto del capanno degli attrezzi.
C’era un albero di fichi particolarmente testardo che cresceva grande e ombroso dalla fessura di un muro dietro casa di mio nonno, rifugio dei gatti della zona e dei bambini che giocavano in cortile.
Oggi ci sono altre piante nella mia vita, con cui costruisco legami emotivi più o meno stabili, ma che mi confortano senza neppure saperlo. Non devono neppure essere “mie”.
Ho una mappa mentale ben precisa di una serie di alberi da frutto in diversi parchi sui colli di Bologna che consulto stagionalmente per andare a trovare il ‘mio’ melograno preferito (da cui sono riuscita a raccogliere un solo, dolcissimo frutto prima che venisse mangiato dagli uccelli), alcuni ciliegi e alberi di cachi. Un bosco dove raccogliere castagne ed equiseto in autunno. Un altro dove crescono gli asparagi selvatici e la santoreggia. E, anche se non sono piante, identificare funghi nel bosco, anche senza raccoglierli, è un’attività che mi dà un particolare senso di benessere. Immaginare le connessioni sotterranee, le strade di spore che partono sottoterra fino alle radici della piante, che fluttuano nell’aria invisibili ai miei occhi, le loro intelligenze e capacità comunicative.
Nel numero #11 di Interstizi vi abbiamo consigliato un numero della newsletter Culture Study dedicato a tracciare la storia delle piante di appartamento, sempre più diffuse. Mi ha colpito questo passaggio (che riporto in mia traduzione): L’impulso di spostare, rinominare e coltivare queste piante [piante esotiche] faceva parte di un progetto coloniale più ampio volto a “civilizzare” - in realtà, sfruttare e controllare - terre che vari regni avevano dichiarato come proprie. Nel libro ‘La natura in interni: piante e fiori nelle case moderne’, la storica del design Penny Sparke afferma che l’impulso coloniale di controllare e “domare” - “subordinare la natura alla ragione” - è alla base di molte coltivazioni di piante da interni. Un processo che fondamentalmente consiste nel prendere una pianta che si è adattata a vivere in un certo modo (e anche piuttosto bene!) per portarla in un clima generalmente ostile, darle un nuovo nome, tenerla in uno spazio piccolo e cercare di farla sopravvivere.
Ho letto queste righe con un certo senso di colpevolezza, seduta sul mio divano e con, a qualche metro di distanza, una piccola pianta grassa dentro un bicchiere, raccolta in riva al mare in provincia di Catania che sto cercando di far radicare. Nell’altra stanza ho anche un clorofito che ho raccolto per strada, sempre in Sicilia, e che sta crescendo piuttosto bene nel suo vaso di terracotta. Ci ho pensato anche io, ovviamente, al modo in cui ho sottratto queste piante dal loro clima perfetto, dolce e soleggiato, per portarle nella nebbia siccitosa e inquinata del nord Italia e farle crescere al chiuso. E tutto questo per motivi puramente egoistici: perché le ho viste crescere indisturbate, mi sono piaciute e me ne sono appropriata. Le ho prese per ricordarmi di quei luoghi e dei momenti in cui le ho raccolte. Non ho giustificazioni se non le mie personalissime intenzioni, stati emozionali e l’amore e la cura con cui cerco di ripagare queste piante.
Su Internet si è diffuso il meme (anche in forma di TikTok) del #plantmom, una persona imbarazzante (mom non indica il genere quanto una propensione), solitamente appartenente alla generazione dei millennials, che è ossessionatə dalle piante, ne fa tutta la propria personalità e se ne prende cura come il più apprensivo dei genitori: abbevera così abbondantemente le sue piante che rischia di annegarle, le controlla compulsivamente e utilizza una app per scansionare le più piccole macchioline sulle foglie cercando di prevenire qualsiasi malattia.
Per quanto cringe questo comportamento possa essere, voglio in parte difenderlo (coda di paglia? Forse un po’). Nell’appropriarci di queste piante all’interno dei nostri appartamenti, le nostre pulsioni non sono più semplicemente colonizzatrici perché ci sentiamo noi stessз colonizzatз da un mondo che non possiamo controllare. Le nostre vite sono spesso così precarie che una pianta da interni è uno dei pochi esseri viventi che possiamo permetterci di tenere con noi, uno dei pochi tocchi personali che possiamo apportare a stanze o piccoli appartamenti in affitto.
Ci aggrappiamo alle nostre piante, quelle che abbiamo in casa, quelle che compriamo su un sito internet e che probabilmente non conosceremo mai e quelle che ci appartengono solo nella nostra immaginazione per sentire che, per quando spaventosa e incontrollabile, un po’ di natura può far parte di noi e delle nostre vite. Cerchiamo conforto in creature tutto sommato rassicuranti, in responsabilità piccole, in gesti di cura ripetitivi e calibrati e nel radicamento che, come per osmosi, speriamo di ottenere.
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Ciliegie
i nostri pick culturali
🍒 Podcast 🍒
Il lavoro non ti ama, podcast di Siamomine, perchè siamo solo a febbraio ma noi siamo già PIENE & The rave party, una storia proibita di Chora Media ~ una bella combo
Per chi ascolta volentieri in inglese, The Prince è un podcast in 10 puntate sulla storia personale e politica del presidente cinese Xi Jinping. E se dopo averlo finito, come me, non riuscite più a fare a meno di storie sulla Cina, Drum Tower viene aggiornato ogni settimana ~ un’altra bella combo
🍒 Letture 🍒
Un romanzo: Ghosts di Dolly Alderton, edito in italiano con il titolo Sparire quasi del tutto da Rizzoli, un racconto leggero ma brillante sulle relazioni umane.
Un saggio: The Refusal of Work: Rethinking Post-Work Theory and Practice di David Frayne per Bloomsbury Publishing ~ vedi sopra
Un classico: Foto di gruppo con signora di Heinrich Böll, edito da Einaudi - periodicamente rileggo Böll, per me non c’è nessuno come lui capace di rendere l’interezza dei personaggi, il suo racconto della società tedesca durante e subito dopo la seconda guerra mondiale mi affascina particolarmente e il dry humor è impeccabile.
Un articolo: Everything is trending all at once on TikTok & Why Everyone Feels Like They’re Faking It | The New Yorker
Misc: Mediocrità Premium, quinta uscita della newsletter Una goccia di Priscilla de Pace, che vi consigliamo anche un po’ in generale
🍒 Musica 🍒
Fred again… che suona il piano sui tetti di Londra e il nuovo album di Mac DeMarco
🍒 Film 🍒
In questo numero non vi consigliamo dei film ma un festival bellissimo e tristissimo co-organizzato dalla bravissima Victoria Chuminok 💧 Triste Film Festival 💧
Cliccando qui potete avere 30 giorni di mubi gratuiti grazie al TFF e portarvi avanti con le lacrime.
🍒 L’Internet 🍒
Archivio di fanzine etc. di movimenti politici e sociali degli anni Settanta e oltre direttamente dai MayDay Archives e un altro bellissimo archivio consigliatoci da Alessandra Saviotti
A Beginner's Guide to TYLER, THE CREATOR
Una cosa tenera? Una cosa inquietante? Chissà
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Noi siamo arrivate alla fine di questo tredicesimo numero di Interstizi.
Grazie per essere arrivatə fin qui, per averci letto, per averci dedicato del tempo.
Interstizi è in fase di sperimentazione permanente quindi se avete suggerimenti, feedback o volete semplicemente condividere con noi cosa vi passa per la testa potete rispondere a questa mail, seguirci su Instagram o scriverci a interstizinewsletter@gmail.com - se invece sei qui per sbaglio ma vuoi saperne di più puoi iscriverti qui
Interstizi è un progetto a cura di Fabiola Fiocco e Giulia Pistone.