Benvenutə al sesto numero di Interstizi,
una newsletter occasionale che nasce dal bisogno di mettersi insieme, di condividere riflessioni e pensieri fuori da uno spazio predefinito. Una piattaforma informale di confronto e di ricerca su arte, pop culture e attualità che speriamo possa aprirsi nel tempo a tanti punti di vista e modalità espressive diverse. Uno spazio fisico e mentale per germogliare, condividere quello che ci sta a cuore, raccontare e raccontarsi, trovare la propria voce ma anche lanciarsi in qualche sano rant.
In questo numero parliamo di eteropessimismo e del bisogno di iniziare a ripensare il modo in cui rappresentiamo l’amore. Si prosegue poi con un approfondimento visivo sulla (ir)responsabilità delle istituzioni artistiche e sul perché non possiamo permetterci di non prendere posizione dopo anni di bei discorsi. Infine, vi parliamo dell’artista Sol Calero e vi lasciamo con delle belle letture e musichette per queste prime giornate al parco.
Buona lettura! 🌿
Fabiola & Giulia
Panorama
Tre parole: sole, cuore, basta
L’estate sta arrivando e con essa un nuovo viaggio nei sentimenti (cit.) e nei meandri del trash televisivo. Questa volta dovrò forse fare più premesse del solito. Iniziamo subito dicendo che sì, guardo diversi dating show e mi piacciono. Mi piace osservare le dinamiche di coppia e di gruppo, le emozioni, le relazioni che nascono e la loro evoluzione. Vedere come le persone si conoscono e interagiscono, come decidono di mostrarsi al mondo e come il mondo risponde a questa immagine. Mi rilassano, mi intrattengono. Non sono quasi mai d’accordo con la versione del mondo che mi presentano e ci sono tante cose che trovo problematiche e diseducative ma non credo che cancellarli o ignorarli porterebbe all’estinzione di questo tipo di format e dei problemi di cui si fanno più o meno volontariamente portatori. Anzi, sono convinta che più che sabotarli sarebbe importante analizzare criticamente i modelli di relazione, di identità, di amore che questi programmi ci propongono e spingere per una proposta più attuale, inclusiva e positiva.
Le critiche più diffuse riguardano spesso la mancanza di diversità, dal punto di vista etnico, di background, di età, di corpi. Lɜ concorrenti sono sempre molto sportivɜ, perfettɜ. E questo è ancora più evidente oggi che la televisione è diventata il trampolino per il mondo digitale e ogni concorrente diventa immediatamente ’influencer. Riguardando le prime stagioni di Are you the one? è possibile notare con grande chiarezza il cambiamento avvenuto nella selezione dellɜ protagonistɜ e la tendenza verso una rappresentazione sempre più omogenea e stereotipata. Ogni stagione riflette la moda del momento e l’arrivo dei social e della Instagram Face - ricordate il secondo numero di Interstizi? - hanno sicuramente contribuito ad un appiattimento generalizzato e alla rappresentazione di un’immagine sempre più definita.
Nello specifico, in questa occasione io voglio però parlare di amore. In Matrimonio a prima vista come in Are you the one? l’amore ci viene presentato come qualcosa di scientificamente identificabile; le coppie vengono formate da esperti dopo un lungo processo di selezione e una serie di test e interviste. In Uomini e Donne si cerca il colpo di fulmine, seguito possibilmente da un lungo e drammatico corteggiamento, che viene messo poi alla prova a Temptation Island. Infine un altro esempio particolarmente interessante è Love is Blind, dove la fisicità perde ogni valore e la connessione mentale viene messa al centro di tutto.
Ogni programma ha dunque regole e strutture proprie, immediatamente riconoscibili e facilmente decodificabili. La ricerca dell’amore resta però alla base di tutti. Non un amore qualunque, ma l’amore vero. L’altra metà della mela. Il perfect match. E per trovarlo allɜ concorrenti viene richiesto di mettersi totalmente in gioco mostrando la propria desiderabilità e vulnerabilità. Se il modo in cui si arriva all’amore è molto diverso, l’idea che si ha della coppia è purtroppo sempre la stessa: monogama, etero, cisgender - ancora meglio se altamente problematica.
L’amore che viene rappresentato in questi programmi è spesso tossico, distruttivo. La gelosia, l’ossessione e la possessività sembrano gli unici metri di giudizio accettati. La rabbia diventa interesse mentre la ricerca di una comunicazione matura e rispettosa è indice di freddezza e falsità. Passando dallo studio alla spiaggia, fino al resort alle Maldive, nessunə sembra in grado di parlare dei propri sentimenti senza prevaricare e senza imporsi sull’altrə. Mancano le parole e questa mancanza produce una continua frustrazione che viene però raccontata come la naturale conseguenza dell’amore. Esemplari in questo senso sono Matrimonio a prima vista e Are you the one? nella misura in cui il metodo scientifico, pensato per venire in aiuto a persone che nella vita di tutti i giorni non riescono ad intraprendere relazioni sane - per chi? secondo quali parametri? non ci è dato saperlo - procura un cortocircuito particolarmente forte quando non risponde alle aspettative dellɜ partecipanti. Ogni match sbagliato diventa una crisi individuale e di coppia, in cui lɜ partecipanti vengono lasciatɜ a loro stessɜ, privɜ di strumenti per elaborare ciò che provano. Allɜ concorrenti viene detto di essere sbagliatɜ, ma non viene richiesto di intraprendere un percorso di crescita. Ogni conflitto diventa un capriccio funzionale al dramma e all’intrattenimento.
Inoltre, l’amore si esaurisce all’interno della coppia, che diventa la somma di due persone codipendenti e che nel momento in cui entrano in contatto con l’altrə perdono ogni impulso vitale. È tutto bianco e nero. Con me o contro di me. Come descritto perfettamente Bianca Borissova su Screenshot, all’interno della coppia le insicurezze individuali diventano automaticamente responsabilità del partner, il cui ruolo è dunque quello di ‘aggiustare’ l’altrə oltre ogni dubbio o evidente incompatibilità. Inoltre, nel momento in cui si forma una coppia, ogni rapporto di amicizia e affetto con concorrenti del sesso opposto diventa oggetto di discussioni e conflitti. Una logica spesso rafforzata dalla sceneggiatura stessa che utilizza ogni deviazione dalla coppia come scintilla e elemento drammatico.
E se i sentimenti non hanno vita facile, la rappresentazione della sessualità non se la passa meglio. Salvo alcune rare eccezioni, questi programmi sono spesso frutto sano della cultura sex-negative in cui viviamo. Nello studio televisivo come nella villa, c'è una netta separazione tra uomini e donne, che si mescolano solo per appuntamenti, esterne o feste. Ogni bacio, ogni contatto, ogni rapporto porta sempre a giudizi, problemi e recriminazioni. Si litiga tanto, si urla tanto, si piange tanto, si parla poco.
In breve potremmo dire che i dating show sono il luogo in cui si celebra e si rafforza continuamente quello che Indiana Seresin ha definito nel 2019 ‘eteropessimismo’, ovvero «la disaffiliazione performativa dall’eterosessualità solitamente espressa sotto forma di rimpianto, imbarazzo o disperazione riguardo l'esperienza eterosessuale.» Pur essendo perpetrata spesso anche dalla comunità queer, all’interno della quale l’eterosessualità viene spesso vista come una prigione, sono le coppie eterosessuali l’oggetto e il soggetto principale di questo bizzarro fenomeno che generalmente non porta a nessuna reale messa in discussione di ciò che viene criticato o deriso. Nella realtà la derisione - perpetrata anche attraverso veri e proprio profili di heteronormative memes - è dunque poco più che un'abdicazione di responsabilità. Come nota Seresin, pochissimɜ eteropessimistɜ reagiscono scegliendo il celibato o l'opzione ormai ampiamente superata del lesbismo politico - potremmo considerare gli incel come una forma di radicalizzazione estrema di questo fenomeno con esiti spesso violenti verso se stessɜ e lɜ altrɜ - mentre la maggior parte si limita a subire l’eterosessualità come inevitabile e immodificabile.
Posto che nessuna di queste strade mi sembra auspicabile, né sana, i recenti movimenti sociali contro la violenza di genere e i dati allarmanti relativi ai femminicidi dimostrano l’urgenza con cui la cultura eterosessuale deve essere radicalmente messa in discussione e rivoluzionata. In questo senso, l’eteropessimismo potrebbe sembrare un buon punto di partenza per un’analisi critica della società patriarcale, ma in realtà come nota Seresin, la sua funzione anti-catartica e anestetizzante ha prodotto un distanziamento e un rifiuto di questi movimenti e un rafforzamento del modello della coppia tradizionale. Infine, Seresin evidenzia come la retorica eteropessimista si concentri prevalentemente sugli uomini come radice del problema. Questo non viene però fatto in un’ottica anti-patriarcale ma rafforzando il binomio maschi contro femmine. Una pratica particolarmente problematica perché previene ogni forma di auto-critica da parte delle donne, limita gli episodi di violenza alla coppia eterosessuale, invisibilizzando così quella che avviene all’interno dei rapporti ‘non-convenzionali’ e rende ancora più impraticabile un confronto onesto e profondo su questi temi.
Questo punto è estremamente importante perché evidenzia come l’eteropessimismo non sia animato da nessun intento politico, né da una volontà di cambiamento ma diventi uno strumento auto-assolutorio - Ops, un rapporto basato sulla gelosia ed il controllo non è per niente sano, ma che possiamo farci, siamo fatti così 🤷♀️
A questo punto diventa però necessario fare un’ulteriore puntualizzazione. Parlare di eteropessimismo e delle problematicità insite nella coppia tradizionale non può essere considerata discriminazione al contrario, né una forma di eterofobia.
L’eteropessimismo non si traduce in discriminazione né in odio contro le persone eterosessuali - pazzesco! Ciò che viene analizzato e messo in discussione, dentro e fuori la relazione, è la cultura tossica etero- e mononormata che ogni giorno ci viene presentata come naturale, giusta e ‘sana’. Una rappresentazione che danneggia per primɜ noi stessɜ. Pur rifiutando ogni tipo di binarismo e non riconoscendo la monogamia come una forma possibile di relazione, ma come il prodotto di un preciso processo politico e culturale - un tema che era stato già trattato in qualche modo sempre nel secondo numero di Interstizi - resto una ragazza etero, bianca, all’interno di una relazione monogama da diversi anni. Negli anni ho avuto modo di osservare e (raramente) fare esperienza della tossicità delle dinamiche di coppia e forse è proprio per questo che ho trovato particolarmente interessante questa idea. Il movimento LGBTQIA+ così come il movimento femminista portano avanti da decenni un importantissimo lavoro di analisi, decostruzione e divulgazione ma sono puntualmente lasciatɜ solɜ in questo percorso politico. Se vogliamo davvero abbattere il patriarcato e l’eteronormatività dobbiamo partire dalle nostre relazioni, dal modo in cui stiamo insieme, in cui ci raccontiamo e rappresentiamo. Citazione banale ma necessaria: il personale è politico, e non possiamo continuare a delegare questo lavoro ad altrɜ.
Tornando al viaggio nei sentimenti, è necessario aggiungere però un altro tassello al discorso. Trovo infatti particolarmente significativo che nei dating show la conoscenza avvenga sempre attraverso discorsi sicuri. Non si parla mai di politica, di religione, di visione del mondo. Sapete invece di cosa si parla sempre? Della famiglia. Spesso infatti i ‘veri valori’ della famiglia sono quelli che rendono unə concorrente particolarmente virtuoso e dunque appetibile, perpetrando così non solo una celebrazione della coppia monogama etero, ma anche della famiglia tradizionale. Una dinamica che è possibile osservare anche quando vengono rappresentati individui o coppie queer. Nel 2016 in Italia Uomini e Donne presenta il primo tronista omosessuale, mentre nel 2019 Are you the one? realizza la prima stagione con solo concorrenti dalla sessualità fluida. Anche in questo caso però le coppie vengono spesso riportare all’interno del modello di coppia tradizionale, riproducendone discorsi, valori e dinamiche e non mostrando la pluralità di forme e di direzioni che le relazioni possono prendere. La coppia e il perfect match restano le fondamenta su cui costruire l’unico amore degno di essere definito tale - per un’analisi più approfondita e brillante della rappresentazione delle identità non etero-normative nell’ambito della cultura commerciale e pop vi rimando allo Speciale Ghinea #7 con Nina Ferrante - si parla anche di RuPaul Drag Race!
Dunque, come si chiede la stessa Seresin: «Sì, la queerness e l'abolizione del binarismo di genere possono essere l'orizzonte verso il quale ci stiamo finalmente muovendo, ma cosa succede nel frattempo?» Un primo passo potrebbe essere offrire una rappresentazione nuova dell’amore, delle relazioni e del sesso e farlo all’interno di luoghi che sentiamo più familiari. Mentre le nuove generazioni stanno già attivamente rifiutando etichette e categorie prestabilite (Gen Z, vvb), il mondo è ancora composto principalmente da boomer e simili. Riprendendo le parole di Alma Fabiani, i dating show potrebbero allora diventare una sorta di meta-teatro in cui mettere in scena un processo di deculturalizzazione collettivo senza la pressione che si potrebbe provare all’interno di contesti più alti. Smettere di normalizzare episodi di violenza o ridicolizzare puntualmente tuttɜ coloro che non rientrano nell’idea tradizionale di coppia, espressione di genere o sessualità, pur senza un impianto teorico alle spalle, potrebbe piantare i primi semi di cambiamento anche dentro persone meno sensibili e ricettive. Ciò che vediamo e le parole che usiamo danno forma alla società tanto quanto le grandi teorie filosofiche e politiche e mentre queste ultime possono a volte sembrare troppo complesse ed escludenti, lavorare sui prodotti culturali pop potrebbe avere sul lungo termine effetti molto più significativi e pervasivi. Non penso di poter convincere mia nonna a leggere Judith Butler, ma forse la televisione potrebbe farle avere una visione più aperta del mondo e delle relazioni.
Fotoromanzo
Il 13 maggio alcunɜ studentɜ di istituzioni artistiche olandesi hanno manifestato a supporto della causa palestinese, appendendo alcuni striscioni sugli edifici dell’università, che sono stati però prontamente rimossi dall’amministrazione provocando un forte dibattito online ed offline. Qui una riflessione più approfondita dell’artista Alina Lupu. [post di @diana.al.halabi]
Il dibattito seguito a questi fatti si è concentrato prevalentemente sulla censura attuata da istituzioni culturali come università e organizzazioni e dall’ipocrisia di questi luoghi che professano di credere nella decolonizzazione - appropriandosi di concetti, immaginari e terminologie - per poi agire in tutt’altro modo:
«La decolonizzazione non è una metafora e non ha nessun sinonimo. Include azioni come risarcimento, restituzione di beni (tra cui opere d’arte) e della terra. (...) Chiediamo che le istituzioni culturali si rifiutino di contribuire allo sviluppo di progetti artistici che siano legati, direttamente o indirettamente, ad azioni coloniali contemporanee, messe in atto da qualunque nazione, sia essa Israele, Canada, Australia o altre. (...) La decolonizzazione non è un metafora: è una pratica e, in quanto tale, porta a necessari sconvolgimenti.» [post di @art.goss]
In Regno Unito, ha ripreso vigore la campagna di boicottaggio contro lo Zabludowicz Arts Trust, un’organizzazione culturale con sede a Londra ma con numerose diramazioni e celebre per i generosi contributi elargiti a istituzione culturali pubbliche e privati. Zabludowicz Arts Trust è stato fondato da Poju Zabludowicz, che dirige anche Tamares Group, un’azienda di investimento con forti interessi immobiliari in Israele e in particolare nei territori occupati, e BICOM, organizzazione che si occupa di attività di lobbying in Regno Unito per il governo di Israele. La famiglia Zabludowicz in passato ha accumulato buona parte delle sue ricchezze nel commercio di armi e ancora oggi Tamares Group è uno dei principali investitori in aziende collegate alla difesa aeronautica israeliana. [post di @leomi_sadler]
Zabludowicz Arts Trust ha collaborato in passato con diverse università, tra cui Goldsmiths College e University of the Arts, offrendo ad alcunɜ studentɜ dei corsi di laurea in curatela la possibilità di organizzare una mostra e offrendo a giovanɜ artistɜ l’opportunità di esporre il proprio lavoro. La collaborazione con Goldsmiths è stata sospesa nell’anno accademico 2016-17, a seguito delle proteste dellɜ studentɜ. Nella foto, la dichiarazione dell’artista Laura Yuile in cui disconosce una delle sue performance, realizzata nel 2016 prima di essere a conoscenza della storia di Zabludowicz e dell’iniziativa di boicottaggio. [post di @laura.yuile]
Statement di supporto di @thewhitepube: «Sosteniamo la richiesta degli artisti palestinesi di rifiutare di esporre o di vendere i propri lavori presso istituzioni israeliane o internazionali complici nelle violazioni dei diritti umani compiute da Israele. Fino a quando Israele manterrà l’attuale regime di apartheid, rifiutiamo di nascondere con l’arte l’oppressione brutale perpetrata ai danni dei palestinesi.»
In conclusione, non avremmo saputo dirlo meglio: «Non mi interessano le istituzioni che dimostrano di essere sensibili e attente verso le comunità emarginate solo quando le persone di quelle comunità esprimono il loro dolore in un modo che è favorevole e soddisfa queste stesse istituzioni.» [post di @theferocity]
Profilo
Sol Calero
Il lavoro di Sol Calero mi ha colpita fin dalla prima volta che, nel 2016, ho avuto l’occasione di vederlo. Entrare nella David Gale Gallery di Glasgow è stato come varcare una soglia spazio-temporale, ritrovandomi in una ricca hacienda del Sud America: tappezzerie colorate, dettagli animalier, caraffe di cristallo e vasi d’argento. Esplorando le diverse stanze, alcuni schermi disposti nello spazio (uno, ad esempio, all’interno del caminetto) mostravano personaggi intenti a litigare, amoreggiare e vivere complicati intrighi. Nei giorni precedenti all’inaugurazione della mostra, l’artista ha qui girato Desde el Jardìn, una vera e propria telenovela co-diretta con Dafna Maimon, che racconta l’improvvisa ascesa sociale di Amazonas, una giovane giardiniera che da personale di servizio diventa padrona (i diversi episodi si possono vedere online, qui il primo). Calero gioca sugli stereotipi visivi, narrativi e tematici delle telenovelas, genere molto popolare in diverse nazioni dell’America Latina e diventato un vero e proprio modello di successo globale.
Sempre nel 2016, Calero realizza l’installazione La sauna caliente alla galleria Kunsthaus Bregenz Projekte in Austria, ispirandosi alla presenza di numerose spa nella zona e ricreando un ambiente simile: luci soffuse, accappatoi bianchi, frutta fresca e infusi si mescolano a video e contributi di altri artisti. Allo stesso tempo, l’estetica dello spazio ha poco di mitteleuropeo. Come tutte le installazioni di Calero, anche La sauna caliente è un caleidoscopio di colori contrastanti, elementi kitsch ed estetiche genericamente ‘tropicali’, che l’artista utilizza per rivelare i cliché visivi e identitari collegati ai Caraibi e all’America Latina. Dopo le telenovelas, l’artista si rifà alla particolare attenzione per il corpo, per la sua cura e per la ricerca di una perfezione a qualsiasi costo, che molti di noi associano con l’America Latina e in particolare nazioni come il Venezuela e il Brasile, diventate nel corso del tempo hotspot globali della chirurgia estetica.
Sol Calero è nata a Caracas nel 1982, si è trasferita da adolescente alle isole Canarie e oggi vive e lavora a Berlino. La sua storia personale si intreccia con la necessità di esplorare l’idea di identità come appartenenza fisica, geografica e culturale e come groviglio di stereotipi non solo proiettati dagli altri ma spesso anche interiorizzati. Le sue installazioni diventano spazi dove mettere in discussione l’esotismo applicato all’America Latina, rivendicando la posizione marginalizzata di altro come quella di soggetto complesso. L’esotismo è una fascinazione per culture lontane originatosi in Europa fin dal Medioevo (il fascino generato dai viaggi di Marco Polo viene generalmente riconosciuto come punto di partenza del fenomeno), ma sviluppatosi significativamente con il colonialismo a partire dal XVI secolo, fino a culminare nel XIX. Gli esempi di esotismo sono molto vari e comprendono teorie e immaginari eterogenei, dal ‘buon selvaggio’ di Jean Jacques Rousseau, al personaggio di Robinson Crusoe immaginato da Daniel Defoe e la moda delle ‘chinoiseries’ che impazza in Europa nel 1800. In questo contesto, le culture di altri popoli diventano qualcosa di affascinante, impalpabile e voluttuoso, un insieme di simboli e immagini che vengono estrapolati, appropriati e riproposti all’interno della cultura occidentale, riducendo l’altro e la sua complessa identità ad una serie di stereotipi. Atteggiamenti di questo tipo permangono ancora oggi, l’epoca del turismo globale e del marketing che fa presa sulle fascinazioni che parole come ‘tropicale’ o ‘esotico’ evocano.
InAgencia Viajes Paraìso, installato nel 2017 al Kunstpalais Erlangen in Germania, Calero ha costruito un’agenzia viaggi fittizia, in cui tutto il materiale esposto (poster con riproduzioni di immagini costruite alla perfezione e brochure patinate) è realizzato per rafforzare e vedere questa fascinazione verso l’esotico. Il viaggio diventa consumo di esperienze e di culture e le nazioni visitate una serie da collezionare, un numero sempre più altro da esporre sul proprio profilo Instagram.
I contributi e la collaborazione con altrɜ artistɜ è una costante, tanto nelle installazioni di Calero che in altri progetti, come l’apertura nel 2011 di uno spazio espositivo indipendente a Berlino, Kinderhook-Caracas, con Christopher Kline. Il nome si rifà alle due città natale dellɜ artistɜ (Kinderhook è una città dello stato di New York, USA), ponendo nuovamente l’attenzione sulle origini geografiche e sulle radici identitarie come punto di partenza della proprio ricerca. Un altro importante progetto cui Calero prende parte tra il 2016 e il 2017 è Conglomerate, realizzato insieme allɜ artistɜ e registɜ Dafna Maimon, Christopher Kline, Derek Howard e Ethan Hayes-Chute. Si tratta di una piattaforma che ha lavorato con artisti internazionali per produrre e raccogliere contenuti video di diversa tipologia, tra cui interviste, musica, film, documentari, serie di video e molto altro.
Un altro elemento molto significativo nel lavoro di Calero è l’attenzione per lo spazio e per le sue funzioni. Come dichiarato dall’artista in un'intervista del 2017: “Voglio creare spazi in cui si possa riflettere, ma anche interagire. Voglio interessarmi più a quello che lo spettatore sente, rispetto che a quello che vede. I miei progetti funzionano in due modi: uno riguarda l’aspetto sociale dello spazio e le esperienze che qui si creano, l’altro è l’estetica o, per meglio dire, l’aspetto formale del progetto.”
Nel 2017 Calero è nominata per il Preis der Nationalgalerie e espone alla Hamburger Bahnhof di Berlino la grande installazione Amazonas Shopping Center, concepita come una retrospettiva di molti dei suoi lavori e dei suoi spazi precedenti. Quale luogo migliore di un centro commerciale per raccogliere un salone di parrucchiera, una sauna, un Internet caffè, un’agenzia di viaggi, una scuola di salsa e un cinema? Avrete riconosciuto alcuni di questi spazi tra le installazioni che vi ho presentato poco fa. Amazonas Shopping Center, però, è molto di più che l’insieme delle sue parti. Questa tipologia di spazi commerciali è molto diffusa in diversi paesi dell’America Latina e viene spesso replicata dagli emigrati nei nuovi paesi dove si sono stabiliti, diventando parte della percezione di queste comunità.
Il 6 maggio 2021 ha inaugurato a Parigi La carta por favor, presso la Galerie Crèvecoeur, uno tra i più recenti progetti espositivi di Calero (che ha appena inaugurato una mostra anche alla Whitechapel Gallery di Londra). Con questa installazione l’artista ha iniziato ad esplorare lo spazio sociale del ristorante, con la prospettiva di progettare una mensa permanente per Bergen Assembly in Norvegia nel 2022. Si è però legata fortemente all’attualità che questi luoghi hanno attraversato: il ristorante è chiuso, le sedie impilate a formare un muro (le 50 sedie utlizzare sono state prese in prestito dalla vicina Rôtisserie Coquin, chiusa da novembre 2020). Le sedie impilate creano uno spazio disfunzionale, non accessibile per le persone che, infatti, hanno dovuto rinunciare agli spazi sociali tanto cari anche nella ricerca dell’artista. Allo stesso tempo, le sedie fanno parte della mostra temporaneamente: non appena il ristorante potrà riaprire, lasceranno lo spazio, tornando ad ospitare i clienti e aprendo nell’installazione uno spazio di speranza.
Ciliegie
i nostri pick culturali
🍒 Podcast 🍒
Plotting The Urban Body. Six Healing Sounds, un’indagine sull'energia nello spazio urbano di Firenze realizzata dall’artista Maria Pecchioli
🍒 Letture 🍒
Un romanzo: Goliarda Sapienza,L’arte della gioia, Einaudi, 1998, una ciliegia un po’ diversa dal solito, un classico più che una novità letteraria. Ma un classico fuori da ogni schema e assolutamente imperdibile. La scrittura di Sapienza è potente almeno quanto Modesta, il suo personaggio: spregiudicata, determinata, dalla sessualità fluida, saggia e avveduta.
Un saggio: what about support and what about struggle, non un saggio ma una pubblicazione [scaricabile gratuitamente dal sito dell’Internationale] a cura di L'Internationale Online e Jennifer Hayashida che raccoglie diversi contributi critici e teorici che tentano di rispondere all’annosa domanda - Come sopravvivere alle catastrofi naturali (e non)?
Un articolo: Un interessante articolo di Jonathan Moses sulle voci che sentiamo sulla nostra testa. Un approfondimento di Luca Peretti sul ‘caso Gorman’ e su cosa questo ci dice dell'industria culturale italiana. E per concludere un articolo sull’impatto ambientale della cripto art.
🍒 Musica 🍒
Sin Miedo (del Amor y Otros Demonios) ∞ - Album by Kali Uchis | Spotify
Arlo Parks: Tiny Desk (Home) Concert ~ uno dei video più belli della serie
🍒 Film 🍒
The life of the super-rich in Central Africa, realizzato dall’emittente tedesca DW, questo documentario esplora con grande efficacia le ineguaglianze nella Repubblica Democratica del Congo.
🍒 L’Internet 🍒
Il 30 Aprile 2020 è stato organizzato da AWI (sì siamo di parte) un bellissimo panel sul lavoro artistico Il lavoro dei sogni / Il sogno del lavoro. La testimonianza onesta della realtà di un settore in cui non si parla mai di soldi, ma si dovrebbe.
Sappiamo che i muri parlano, a volte con molta gentilezza. Qui invece un consiglio meno gentile, ma più pragmatico. Inoltre, un utilissimo toolkit che ci ricorda che è necessario prendersi cura di sé stessə per prendersi cura dellɜ altrɜ.
Come ci sentiamo in attesa dell’estate. E un po’ di tenerezza fino al prossimo numero!
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Noi siamo arrivate alla fine di questo sesto numero di Interstizi.
Grazie per essere arrivatə fin qui, per averci letto, per averci dedicato del tempo.
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Interstizi è un progetto a cura di Fabiola Fiocco e Giulia Pistone.